Ho letto con una certa sorpresa l’articolo di Studio dedicato ai migliori mercati di Milano. Dunque anche tra le bancarelle spira un vento nuovo se una blasonatissima rivista culturale se ne occupa; quelli di Studio sono avanti, si sa. Conosco tutti i mercati citati e recensiti: Quinto Alpini, San Marco, Fauché e Garigliano. I mercati appartengono al mio quotidiano fin da quando ero piccola e ci andavo insieme a mia mamma. Prima compravamo la frutta e la verdura, sempre alla stessa bancarella, quella che a giudizio di mia madre garantiva la qualità migliore al miglior prezzo, poi arrivava il momento in cui iniziavamo a bighellonare tra le postazioni che offrivano merci varie, dalle calze alle pentole, passando per quella del fioraio dove acquistavamo dei magnifici mazzi di fiori misti. Appena tornate a casa li collocavamo in un vaso di cristallo stilizzato pieno d’acqua a temperatura ambiente in cui tuffavamo un’aspirina affinché restassero freschi più a lungo. Chissà se usa ancora? In seguito ho continuato a frequentare i mercati sia per le necessità della spesa, sia per gusto personale. Quando trascorrevo le vacanze in Versilia non mancavo mai il famoso mercato di Forte dei Marmi e, ovunque mi trovi, tengo sempre d’occhio i tanti mercatini dedicati all’antiquariato, ad articoli per collezionisti, ai libri usati o ai fiori, quelli legati alle feste di paese, alle sagre.  A Milano frequento spesso il mercato di via Fauché che davvero è diventato «the new Papiniano», mercato storico e il più famosos della città. Mi piace spigolare tra le bancarelle che offrono capi d’abbigliamento e spesso, troppo spesso a dire la verità, trovo occasioni cui è impossibile rinunciare. E poi la varietà di suoni e colori che incontri vagabondando tra le merci, i profumi e perfino le puzze compongono una tavolozza  disordinata in cui la gente di qui e quella che viene da lontano, spesso da realtà difficili, si mescolano senza pregiudizio. Le categorie dovrebbero essere limitate a chi vende e a chi compra e nient’altro. Non è sempre stato così e neanche adesso, del resto. Ho un ricordo molto sfocato, forse saranno passati vent’anni o anche di più. Allora come oggi i migranti, al tempo vu cumprà, esponevano la loro merci a terra, sopra un telo che magicamente si trasformava in un sacco all’arrivo della Polizia locale. C’era un ragazzo, uno spilungone che vendeva dei braccialetti che mi piacevano. Non avevo fatto in tempo a iniziare la contrattazione che lui era schizzato via con la merce appresso; lo avevano raggiunto e malmenato senza un vero motivo. Un po’ di gente aveva alzato la voce in sua difesa, ma era stato inutile. Mi è rimasto il ricordo del palmo delle sue mani; spiccava dietro la sua schiena mentre lo portavano via.

Il mercato della Vucciria_Renato Guttuso

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