“Allora, esci il cane o no?” Mi ha chiesto un amico . “Tu di lavoro fai la scrittrice e hai pure un cane: come ti regoli?” Voleva provocarmi riguardo le discussioni di questi giorni sull’uso transitivo di alcuni verbi. “Se avessi letto almeno uno dei miei libri lo sapresti” ho risposto. Mai fidarsi degli amici.

Scrivere un libro comporta molte responsabilità, ancora di più se lo si fa per narrare le storie di altri: la scrittura non si può e non si deve improvvisare. Chi scrive deve evitare un linguaggio sciatto. Detto questo, alla domanda del mio amico “Allora, esci il cane o no?”, io rispondo: “Solo tra le virgolette, o le caporali, o i trattini lunghi, o qualsiasi altro segno grafico che identifichi un dialogo”. Infatti, a mio avviso nella scrittura di un dialogo Esci il cane ci sta, oggi come ieri.

In un buon dialogo, ciascun personaggio deve avere un proprio modo di parlare.  Pensiamo al virgolettato come a una finestra aperta sul mondo esterno e prima di tutto proviamo a dare  al nostro personaggio una voce tanto convincente da far sì che il lettore possa riconoscerlo immediatamente.

Fateci caso: in un testo il dialogo è ciò che più attira l’interesse dei lettori, è funzionale a far procedere l’azione, a connotare i personaggi, a passare delle informazioni e, cosa da non sottovalutare, dà respiro al testo spezzando l’uniformità della pagina.

Ci sono molti modi di gestire un dialogo all’interno della narrazione, la riuscita dipende dall’abilità e dal talento (quando c’è) dello scrittore. Per cogliere l’obiettivo possiamo fare ricorso a moltissime possibilità di applicazione e del resto su come affrontare il dialogo ci sarebbe davvero tanto da dire anche in relazione ai diversi registri che si possono usare per raccordare il dialogo stesso alla narrazione.

Qui voglio limitarmi a fare riferimento al punto da cui siamo partiti: “Esci il cane”.  In una narrazione basata su due registri di linguaggio, la voce narrante sarà precisa e curata mentre nei virgolettati potremo impiegare una voce più trasandata e approssimativa, o al contrario dotta al confine con il petulante; in ogni caso attraverso il dialogo dovremo dare evidenza alla personalità del soggetto in causa. Ciò vale a tal punto che perfino in una narrazione in prima persona, il narratore cambia registro linguistico quando si esprime all’interno delle battute di un dialogo, appunto tra  “virgolette”.

Tornando all’espressione “Esci il cane”, o a qualsiasi altra, altrettanto sgrammaticata, essa può vivere all’interno delle virgolette così come l’uso di tic verbali in cui il personaggio tende a ripetere certe parole o certe strutture, banalmente potrebbe essere il turpiloquio tipo cazzo, cioè…, oppure il continuo ricorso a espressioni eufemistiche, o a frasi sospese, anacoluti, a dialetti e slang, questi ultimi da usare con estrema cautela.

Tuttavia, nel momento in cui usciamo dal dialogo e torniamo alla narrazione dobbiamo rientrare nei ranghi di una scrittura curata. A mio avviso lo stesso vale per il parlato; se mi rivolgo scherzosamente a un amico posso domandargli: “Esci il cane?”, ma a una persona con cui non ho confidenza chiederò: “Esce con il cane?”. Scegliere di usare parole precise è un modo per definire chi siamo nel momento in cui entriamo in relazione con altri.

Per chiarezza riporto qui ciò che ha detto in merito alla questione e alle polemiche di questi giorni l’Accademia della Crusca «No, su «scendere il cane l’Accademia della Crusca non ha cambiato idea», ha dichiarato il presidente della Crusca Claudio Marazzini all’Agi. Si dice anche divertito dal «moto di entusiasmo e dalla grande soddisfazione» con cui i «parlanti» che usano i verbi di moto in modo transitivo «hanno visto promuovere un errore tipico a tendenza di interesse, ma non bisogna dimenticare che resta estraneo a un italiano formale sorvegliato e di livello alto». (Corriere.it)

Beh, adesso non mi rimane che una cosa da fare: una bella passeggiata con Tina (nella foto). Lei dorme e qui nevica; non sarà d’accordo, ma è ora. Anch’io esco il cane.

Share: