Ho bisogno di una boccata d’aria, di distrarmi. È una di quelle giornata in cui mi sveglio con un senso di vuoto nello stomaco. Prendo il caffè, qualche biscotto, spero che passi. Aggiungo uno yogurt, ma niente da fare. Guardo il computer, mi avvicino, poi gli giro le spalle. Ho bisogno di una tregua con dentro qualcosa che non mi faccia pensare e nessuno a disturbare il mio tentativo di decompressione. Il libro che sto scrivendo mi ha invaso la testa.
Andrò a fare spese, ho giusto bisogno di due cose.
Nel negozio di intimo non c’è nessun altro, a parte me e due commesse. Faccio la mia scelta e allungo a una delle ragazze un reggiseno color prugna, taglia terza coppa B.
«Come va?» Il tono è quello di un vecchio amico che ti incontra per caso.
Mi giro, di tre quarti. Vedo uno, il sorriso da deficiente stampato sulle labbra.
«Non mi conosce» dice.
«No.»
«Ho scritto un libro. Una storia di amicizia, amore, alcol, sigarette, serate, nottate, caffè, sesso, vacanze e quant’altro.»
«Desidera anche lo slip coordinato?» mi chiede la commessa.
«Sì, però non ho trovato la mia taglia.» Volto le spalle all’importuno.
«Controllo» risponde la ragazza. «Solo un momento.» Esce da dietro il bancone e passa tra me e lo scrittore.
«Persone a me vicine l’hanno letto. Dicono che sia molto bello e accattivante.» Lui assume un tono confidenziale. Adesso sento il suo alito che mi sfiora la nuca.
«Mi confonde con qualcuno.» Mi giro quel tanto che basta per mostrargli lo scorcio di un sorriso tirato.
«La conosce un mio amico. Lei scrive. È una ghost writer, lo so.»
«Si sbaglia. Non sono io» rispondo. E rivolta alla commessa: «Lasci stare. Prendo solo il reggiseno».
«Lo stile del mio libro è semplice e diretto. Dicono che regali emozioni. Credo, senza modestia, di avere scritto qualcosa di eccezionale. Vuoi leggerlo? Darmi gentilmente un giudizio?» Adesso è passato al tu.
«Sono trentanove euro e cinquanta.»
Allungo la carta di credito.
«Per me sarebbe bello avere un tuo parere. Il più spietato e critico possibile.»
«Prego.» La ragazza mi rende il talloncino per la firma.
«Sono un po’ emozionato a parlare con te» dice lui.
«Lascia perdere. In questo periodo sono molto impegnata» rispondo senza degnarlo di uno sguardo.
«Sono solo cento pagine scritte di getto, piene di ricordi e sensazioni. Nessun compromesso, nessuna via di mezzo.»
«Ecco, signora.» La commessa spinge il sacchetto attraverso il bancone. Lo afferro e mi precipito fuori dal negozio. Nel corridoio del centro commerciale c’è una gran viavai.
«Lei mi ispira fiducia. Voglio darle la bozza del mio piccolo capolavoro. Potrebbe darle una lettura veloce? Si legge d’un fiato… Posso fidarmi? Non è che lo farà leggere a qualcuno?» Lo scrittore è tornato al lei.
«Ho fretta. E non mi segua, per favore!» La scala mobile. Ci sono quasi arrivata. Lui mi tallona.
«Tenga. Gliel’affido.» Infila un fascio di fogli dentro il sacchetto del reggiseno mentre io inizio a sfilare verso il piano superiore. Un dislivello di forse una decina di metri o poco più. Sosto in cima alla scala, dove c’è una balaustra trasparente. Lui, da giù, saluta con un cenno della mano; come alla stazione quando parte il treno. Gli restituisco un sorriso seducente, poi frugo nel sacchetto appeso al braccio e disperdo i fogli del capolavoro dall’alto della volta del Carrefour.

 

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