Stamattina un titolo del Corriere della Sera ha suscitato il mio interesse: “Adams, l’incubo degli sportivi tra ghostwriter e sveglie all’alba”. Io sono una ghost writer e cerco di essere attenta a tutto ciò che riguarda la mia professione, relativamente poco nota e spesso soggetta a definizioni e commenti impropri. Non mi aspettavo però che un giornalista, Marco Bonarrigo, l’autore del pezzo, scegliesse di piazzare a casaccio il termine inglese nel titolo e nel corpo del suo articolo.
Oggetto del servizio è il deferimento di alcuni atleti italiani al tribunale antidoping, legato al rispetto delle norme di reperibilità. Dal titolo ho pensato che qualcuno degli sportivi tirati in causa stesse scrivendo la sua autobiografia con un ghost writer, va molto di moda tra i Vip. Invece nel testo ho trovato la seguente citazione: “Nel 2011 Mark Cavendish, re dello sprint, rischiò la squalifica per una dimenticanza del suo assistente: era volato in Sicilia a girare un video ma risultava nella sua casa di Lucca. Il ghostwriter fu licenziato in tronco”. L’autore dell’articolo sa chi è, cosa fa un ghost writer? Evidentemente no, perché di fatto lo classifica come segretario, assistente, un ruolo che nulla ha in comune con quello dello scrittore fantasma, neppure un punto di coincidenza. Come mai un giornalista fa simili confusioni? Che tipo di informazione passa? E questo è solo un esempio tra i tanti.
Vabbé, l’ultima domanda la devo fare a me stessa. Perché mi ostino a leggere ancora i giornali? Lo so, è un vizio, una forma di dipendenza di cui non riesco a liberarmi, però vi assicuro che una volta, molti anni fa, la lettura dei quotidiani era una cosa seria.

Qui il pdf dell’articolo: CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB(2015_12_09)_Page57

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