Fuori è buio pesto, c’è la nebbia e un’umidità appiccicosa ha trasformato i miei capelli in una nuvola di zucchero filato al carbone.
Come quello della Befana.
Per sbaglio mi vedo allo specchio, un passaggio veloce mentre poso il cappotto. Preparo un caffè e mi sistemo sul ponte della mia nave, la scrivania. Accendo il computer e faccio partire la colonna sonora che mi fa compagnia negli ultimi tempi; comincia con Sitting on the dock of the bay. Apro un nuovo foglio di word, devo aggiornare il blog, programmare le prossime uscite. Potrei guardare tra i file in attesa di essere completati, ramazzare qualcosa tanto per cominciare l’anno senza fare troppa fatica, ma dopo quasi due giorni di inerzia indolente, ho voglia di far correre le dita sulla tastiera.
Adesso sono le note di Stand by me che mi riportano nel passato mentre ho appena messo i piedi in un nuovo anno. La musica mi conduce lontano, all’indietro, tante cose, fatti, persone, emozioni appena abbozzate, frammenti veloci. In modo spontaneo e senza intenzione mi ritrovo a iniziare il percorso che consiglio ai miei narratori, le persone per cui scrivo le autobiografie come scrittore fantasma. Chi deve prepararsi a raccontare la storia di una vita deve fermarsi sui ricordi, far riaffiorare ogni dettaglio magari con l’aiuto di vecchie foto, lettere o altri documenti.
Ma io non mi fermo.
Corro perché so che il tempo si è accorciato.
Ho troppe cose alle spalle, un disordine caotico, anni accatastati in bilico precario, facce ben chiare nella mente, volti sfumati di cui non rammento il nome e strette al cuore e risate, pochi rimpianti e tanta nostalgia.
Richiudo, uno dopo l’altro, i cassetti del mio passato. Qualcuno scivola leggero sulle guide, qualche altro scorre a fatica, devo calibrare la spinta, accompagnarlo nella corsa, l’ultimo proprio non riesco a serrarlo.
C’è qualcosa di troppo che lo blocca.
Lo riapro, so cosa contiene, roba recente, avanzi, situazioni irrisolte che oggi non ho voglia di affrontare. Arriverà quel momento, ma non è adesso.
Premo con le mani per contenere lo spazio di quegli scarti disordinati. Sotto le dita sente stoffe morbide di seta e velluto e qualcosa di ispido che punge e fa male. Sale un profumo di mela e poi di fumo stantio, l’odore di vaniglia del mio cane, sento in bocca il gusto di un gelato al pistacchio.
Non voglio guardare cosa contiene. Mi limito a rovistare, tasto con i polpastrelli premendo forte verso il fondo è incontro il filo di una lama.
Ritiro la mano, c’è un taglio e sanguina.
Che rabbia!
Chiudo il cassetto di scatto, con forza. Rimbomba un’eco esagerata e mi accorgo di avere tranciato via tutto ciò che era in più. Quel malloppo di ricordi che era inutile conservare.
Ecco, ora sono pronta per ricominciare.

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