Per svolgere al meglio il mio lavoro di ghostwriter e di scrittrice, prima di licenziare un testo lo affido alle cure di un editor e non uno qualunque, ma quello che mi sono scelta perché possiede solide competenze specifiche nell’ambito della revisione editoriale e, cosa non meno importante, per la passione con cui svolge il suo compito. Ormai sono parecchi anni che lavoriamo insieme e nel tempo sono cresciuti il rispetto e la stima reciproci ed è nata una bellissima amicizia. Il riferimento è a Nicoletta Molinari, questo il nome della mia editor, una persona molto riservata, addirittura schiva, tanto che ho dovuto faticare per farla venire allo scoperto con questa intervista. In un mondo in cui tutti gridano per vendersi al meglio, magari producendo solo fumo, lei ha sempre evitato di mettersi in mostra.

Dammi la tua definizione del lavoro di editor.
È difficile risponderti perché le definizioni sono riduttive, io le trovo addirittura claustrofobiche. L’editing è un’operazione, passami il termine, che richiede amore per il libro e una buona preparazione. Un’alchimia necessaria per poter lavorare in modo serio e approfondito.

Come sei arrivata a diventare editor, qual è stato il tuo percorso?
Quanti giorni abbiamo? No, scherzo… diciamo che ho cominciato dall’altra parte della barricata, quando ancora nessuno amava scrivere, ovvero quando tutti odiavano il temutissimo compito in classe d’Italiano (chi se lo scorda?). Il giorno del compito in classe di italiano, io ero una ragazza felice. Ho avuto maestri bravissimi come Paolo Cognetti e Raul Montanari. Ho studiato e ho imparato perché scrivere è un mestiere e prima di tutto bisogna sapere fare bene, poi si può trovare in qualcuno quel pizzico di follia creativa che serve ad avere una voce naturalmente originale o, più raramente, ci si può imbattere in qualcun altro che ha talento da vendere, ma questo è un altro paio di maniche. Per quel che mi riguarda ho studiato, sono migliorata tanto imparando dai miei errori, ho anche pubblicato, ma la mia attenzione si è presto spostata dai miei libri, benché continui a scrivere anche ora, a quelli degli altri: è stato ai corsi di scrittura che ho cominciato a correggere, se così si può dire, i racconti dei colleghi. Spesso mi chiedevano di editare interi romanzi. Di solito quando un collega chiede una cosa del genere, per esperienza so che la controparte tende a rimandare con cortesia finché la richiesta decade. Questo perché anche solo leggere è impegnativo in termini di tempo, e quasi sempre è difficile che a uno scrittore interessi quello che scrive l’altro. A me piaceva e quindi ho cominciato a farlo attenendomi, per l’editing, a ciò che avevo imparato sulla scrittura. In seguito mi sono formata in modo specifico sulle tecniche di editing. Ho scoperto così quell’amore di cui parlavo prima per il lavoro degli altri. Del resto, non ho mai sentito dire che una levatrice non provasse, durante e in seguito, amore per l’atto di far nascere la creatura di un altro. L’editing è un po’ questo. Ma anche tanto altro. Vedi? Le definizioni sono una fregatura.

Come selezioni i testi che prendi in carico? Hanno un peso i tuoi criteri letterari oppure ti basi di più sulle tendenze del mercato?
Ho dei gusti letterari, come tutti, ma non ho preclusioni di sorta o pregiudizi quando si tratta di lavoro. Tuttavia prediligo opere in cui vedo maggiormente la storia che può diventare, o dove intravedo una voce particolare. Sono molto contenta se incappo in un romanzo o una raccolta di racconti che siano di per sé opere già ben costruite e scritte con competenza… e immagino che qui potrebbe sorgere la domanda: “Quindi, l’editor, a cosa serve?” Un buon editing è necessario a qualunque autore. Chiunque abbia scritto un libro ha bisogno di qualcuno che abbia gli strumenti (e l’amore) per aiutare l’opera a uscire al meglio.

Quando un autore dovrebbe rivolgersi a te? Come selezioni i testi e come operi?
Per rivolgersi a un editor, che sia io o altri, è importante che un autore decida che il suo romanzo, saggio, novella, raccolta di racconti, sia concluso. Inutile mandarmi i primi capitoli sperando in un’idea per andare avanti, qualcuno lo fa, ma non sono io l’autore. È anche importante che l’autore tenga conto di poche regole di natura estetica, ma irrinunciabili: una sorta di bon ton tra professionisti, ovvero predisporre un testo che sia ordinato, per quanto possibile. Si chiama lay-out ed è il vestito della pagina scritta, può essere un vestito sbrindellato e pieno di buchi o formalmente elegante. Per quel che mi riguarda, anche questo mi aiuta a scegliere. Probabilmente è un aspetto utile di cui tenere conto anche in una fase successiva in cui il manoscritto potrà essere inviato a un editore o a qualche premio letterario.
Per quanto riguarda la selezione, credo di aver in parte risposto sopra.
Come opero? Dipende da cosa mi chiede l’autore. Se solo un parere, leggo l’opera ed elaboro una scheda con i punti di forza e quelli di maggior debolezza che possono riguardare la struttura, i personaggi, la voce narrante. Suggerisco le azioni correttive e anche soluzioni narrative diverse laddove sia evidente un errore di impostazione. Sono necessariamente note di carattere generale, non potendo in questa fase operare un editing sull’intero testo, ma sempre circostanziate e pratiche. Se l’autore mi chiede di fare l’editing alla sua opera, allora diventa “il mio autore” e con lui comincia un percorso a stretto contatto perché ci si interfaccia, ci si chiarisce su punti che all’editor non sono chiari. A volte capita che, dal confronto, nascano idee o soluzioni che risultano migliori dell’impostazione originale.

Secondo te quale funzione dovrebbe avere oggi la letteratura?
Leggendo il bellissimo libro di Luca Briasco, Americana, mi sono imbattuta in qualcosa di molto forte che mi aveva già colpito quando lo lessi anni addietro, cioè quello che disse David Foster Wallace in un’intervista con Hugh Kennedy nel ‘93 su ciò che avrebbe dovuto fare la scrittura. Esattamente lui disse: “…penso che tutta la buona letteratura in qualche modo affronti il problema della solitudine e agisca come suo lenitivo. Siamo tutti tremendamente, tremendamente soli.”  Non sto a impantanarmi in discorsi sociologici, dirò solo che la vita è bella, ma la realtà spesso non ha alcuna compassione per nessuno di noi. Nella letteratura (ognuno si riferisca al genere che preferisce), troviamo quel rifugio che ha il compito di offrici un riparo, almeno per un po’.

Ti si vede poco sui social, non hai neanche un blog: perché?
Mi viene in mente che alle medie mi avevano regalato un diario a forma di cuore, di velluto verde. Sai, quelli con il lucchetto e tutto il resto. Ci ho provato, ma non sapevo cosa scriverci, quello che avevo in testa lo sapevo già: a chi altri dovevo dirlo? Riprovo la stessa cosa quando oggi mi chiedo se io debba interagire rispetto a un post che vedo o se, avendo una mia posizione ben precisa rispetto a qualcosa che accade nel mondo, io la debba rendere pubblica. Perché, mi chiedo, dovrei dirlo su un social? Sono davvero tutti lì che aspettano di sapere cosa penso io, cosa faccio, come mi sono svegliata e se ho goffamente dimenticato le chiavi dell’auto sul tettuccio e non trovandole sono rientrata in casa, ho preso quelle di riserva e poi, qui il colpo gobbo: tutti mi lanciavano vistosi segnali dalle loro auto, finché a un semaforo ho tirato giù il finestrino e uno mi fa: “Ha delle chiavi sul tettuccio”. È davvero così interessante? Tutti abbiamo delle opinioni sulla vita e sui fatti che accadono intorno a noi. A tutti accadono una quantità di cose sciocche, buffe, strane, incredibili o spaventose. Ma, no, non sento la necessità di renderle pubbliche. Per dirla con una metafora, amo le cene, quelle dove si è in due, massimo in quattro, dove si dice o si racconta  ciò che preme veramente. Dove, magari, neanche lì si è completamente sinceri perché è difficile essere “solo” se stessi. Questa è un po’ la mia posizione rispetto ai social, anche se so che spesso si tratta di lavoro e che se non hai una vetrina rischi di non esistere professionalmente. Inoltre ci vuole davvero tanto tempo per alimentare in modo serio e professionale un blog o per avere una presenza fissa su Facebook e francamente in questo momento faccio fatica a ritagliarlo. Per fortuna, grazie al passaparola ho ciò di cui ho bisogno. Non chiedo altro che di fare ciò che amo.

Grazie, Nicoletta. A proposito, a breve ti passerò un nuovo romanzo da editare. Mettimi in lista e tienimi il posto, per favore.

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