Ho incontrato per la prima volta il Grande Fiume, ne ho intuito la potenza, ho annusato il sentore di ruggine, ho ascoltato la sua musica e ne ho ammirato la flemma minacciosa. Impossibile da contenere in uno sguardo, l’ho costeggiato accecata dal riflesso di luce che rimbalzava sull’acqua. È infinito. Un ricordo di settembre che voglio rinnovare presto, in una stagione diversa che mi conceda una differente prospettiva.

Il Po è stato raccontato e interpretato da grandissimi autori attraverso la letteratura, la poesia, il cinema. Tra i tanti contributi mi piace ricordare la descrizione che ne fa Riccardo Bacchelli tratta da Il Mulino del Po, che narra la sua furia. La leggo e la riscrivo mentre il Po sonnecchia placido nella calura di un’estate che non finisce più.

“Dalla lanca, dove l’acqua a momenti ridondava e girava a ritroso in tondo… dal mulino, si scorgeva la corrente, l’immane flusso della piena, fremere e ribollire infuriando sulla punta, scrosciare e rimbalzare, fuggire con una fila di gorghi e di risucchi avidi e astiosi, che segnavano il margine fra le acque vive e grosse del filone, e le semimorte della lanca. Affioravano e affondavano, veloci, i più diversi oggetti; e qualcuno veniva spinto dalla corrente nell’acqua pigra, aggirato a lungo, respinto e ripreso.

Potevan diventare pericolosi, se un mutamento del letto venisse a buttare con il mulino tutta o parte della corrente; erano tronchi d’albero, barche perdute, e masserizie e carri colonici anche, o caduti dagli argini su cui la gente spaurita s’accalcava colle sue robe, o rapinati dal fiume nelle golene e nei campi invasi; eran carogne d’animali domestici e di stalla, sordide e sconcie, ben tristi, convolte e travolte”.

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