Per scrivere un libro, per raccontare una storia che magari vive in territori lontani, o insoliti, talvolta mi aiuto cercando supporto in altri ambiti. Oggi stavo tentando di individuare la rappresentazione a colori delle trasparenze della pioggia e ho scoperto diversi dipinti che hanno colpito la mia fantasia. Tra questi alcuni sono di Stanislav Sidorov, un pittore russo contemporaneo emigrato negli USA, a Denver, dove ora vive e lavora. La ricerca, accompagnata dal rumore di un acquazzone che usciva dalle casse del computer, mi doveva aiutare nella descrizione di una scena su cui sto lavorando tuttavia, come accade qualche volta, sono finita fuori strada. La pioggia virtuale a confronto con il sole tiepido di questa luminosa giornata invernale mi ha ispirato un racconto brevissimo. Lo dedico a tutti quelli che credono alla storiella del Blue Monday che identifica con oggi, il terzo lunedì di gennaio, il giorno più malinconico dell’anno.

Nostalgia del presente

Piove a secchiate, le luminarie sbarluccicano nel tappeto d’acqua che scivola sull’asfalto bagnato. La prospettiva della strada si sfalda in un’istantanea mossa.
«Guarda!» Agito l’ombrello spargendo strisce umide sulla spalla del mio compagno. «Qui al primo piano si mangia. Ti va?» Indico l’insegna di un negozio di lingerie.
«Vuoi dire che…» osserva la targa dubbioso. «È vero! Offrono panini e reggiseni. È l’una passata. Dai, proviamo!»
Mancano due giorni al Natale. L’intimo in esposizione è un tripudio di rosso, argento, bianco e nero, pizzi, chiffon, ma c’è anche del pile, per non rischiare il raffreddore coperti solo da inconsistenti trasparenze. Di sopra, al piano dei panini famosi, i tavoli sono per lo più occupati da coppie in vena di confidenze, amiche cariche di pacchetti, uomini che tentano di spuntare l’ultimo affare, una promessa, o un’informazione riservata che faciliti la carriera. Prendiamo due posti al volo, ci sistemiamo sorridendo, soddisfatti per la fortuna d’avere trovato subito da accomodarci in questo luogo alla moda, plasticoso e poco ospitale.
Spiamo intorno senza riguardo né vergogna.
Ecco che arriva altra gente: uomini e donne procedono alla spicciolata, in fila indiana con i cappotti aperti, un braccio tenuto alto con la mano chiusa sul telefonino che copre il padiglione auricolare. Le loro bocche inghiottono aria e mentre avanzano rilasciano sospiri al limite del rutto; in prossimità della meta qualcuno ripone il cellulare, parecchi indossano un sorriso. Sono qui per festeggiare l’ultimo giorno di lavoro prima delle feste, una fauna da pranzi aziendali.

Ordino una zuppa con i crostini e il parmigiano, il mio compagno preferisce un elaborato panino da macho; è nella norma, gli piace mangiare male, fingendo di avere ancora la tenuta dei trent’anni. Stiamo bene, isolati nella bolgia, i sacchetti con gli acquisti chiusi nell’arco dei polpacci perché lo spazio è poco e ci sentiamo tutti un po’ Sardine.
Ci guardiamo, ridiamo, scambiamo qualche battuta e di nuovo ridiamo. Di niente. In fondo non c’è mai una spiegazione per un momento in cui senti che i pezzi della tua vita sono al posto giusto. Io ho imparato ad avere cura del sereno, ormai so come allungarlo per parecchio, riesco a trattenerlo con le unghie e con i denti fino al limite, finché poi accade qualcosa. Basta una voce stonata e la calma interiore, il senso ambiguo di una sicurezza sempre precaria, calano e magari, quando va male, si alza il vento e finisco dentro una burrasca. Adesso, mentre ho il cuore, le mani e i piedi caldi, resisto al verme dell’angoscia che mi striscia dentro, ma la sera mentre mi guardo lavarmi i denti dentro lo specchio, qualche volta mi domando se la prossima volta che ci sarà tempesta avrò ancora abbastanza energia per rimboccarmi le maniche e prendere il largo, in attesa che passi.

Sorrido al mio compagno di una vita. Non ci siamo mai lasciati andare e ancora non so come abbiamo fatto. Mi piacciono le montagne russe, altrimenti avrei rinunciato a farci così tanti giri. Tra alterne vicende e diverse esperienze, prese di distanza e riavvicinamenti, mi accorgo che abbiamo messo insieme una fila di giorni tanto lunga da non ricordare più l’inizio, molto dietro le spalle. E avanti? L’abitudine di pensarci in due, le riflessioni condivise, il ronzio noioso della voce dell’altro, le reciproche manie che ci infastidiscono e che non correggiamo, le incomprensioni e il piacere di incontrarci per caso davanti al portone di casa, le risate e tanto altro… Eppure è in agguato un domani in cui uno di noi due dovrà farne a meno.
Lui dice qualcosa, poi gli scivola la sciarpa e si tuffa sotto il tavolo per recuperarla al volo. Riemerge con i capelli scomposti e io mi commuovo.

Accanto a noi siedono degli studenti dall’aspetto grigio. Mangiano panini bevendo birra, parlano di musica e di Spotify, degli esami che devono dare: studiano matematica. Noi ci scambiamo uno sguardo beffardo e scoppiamo a ridere: sono identici ai loro colleghi di quasi cinquant’anni fa.
Arriva un vociare esagerato dal tavolo più grande, dove ormai si sono accomodate almeno una decina di persone: impiegati imbottigliati in vite ordinarie, impegnati nel farsi notare l’uno con l’altro. Ciascuno indossa l’abito più “giusto” per mettersi in mostra con il collega sposato, o con quella del personale. Hanno tutti i cellulari distesi sopra il tovagliolo ed è sul display che si puliscono la bocca.
Fanno chiasso più di tutti gli altri messi insieme. Una di loro si alza e gesticola al telefono, ogni tre parole dice Ammore! Un altro indossa una giacca troppo stretta e pantaloni troppo corti, secondo la moda, però inciampa sui capelli grigi e la schiena curva. Si soffia il naso di continuo e noi ammicchiamo: il suo è un raffreddore sospetto, da bamba, come usa qui a Milano. E poi c’è il vecchio, forse il titolare, o comunque il direttore dell’ufficio, le dita gialle di nicotina; è uno degli ultimi gran fumatori con a corredo una tosse che gli impedisce di parlare e magari è pure un bene. A parte la ragazza che indossa una scollatura più adatta a un ferragosto a Riccione, il resto della congrega è fatto di gente smorta che fatica a non sbiadire dentro il colore della parete grigio piombo.

Invece noi oggi siamo colorati di allegria.

Le facce intorno diventano tutte uguali, incapsulate in una scenografia in bianco e nero. Sbatto gli occhi, impaurita, e il mondo torna a tinte forti, per fortuna!

Arriva la cameriera, ha il naso a becco reso ancora più lungo dai capelli opachi tirati indietro in una coda da ronzino. Gli occhi sono senza espressione. Forse è un contratto a termine, assunta per le feste e poi…
Il mio compagno allunga il braccio attraverso il tavolo fino a che le sue dita percorrono le macchie brune sul dorso della mia mano. Nella sala almeno un centinaio di mascelle si apre e si chiude, fuori sincrono; la maggior parte azzanna i panini famosi, parecchi sputano parole connesse in frasi subito dimenticate.

Beviamo il caffè e ci alziamo. L’acqua rovesciata dal cielo sciacqua i vetri mentre facciamo la coda alla cassa. In fila per pagare passiamo accanto al repertorio di piatti sporchi sui tavoli appena abbandonati. Si soffoca, qui dentro.
Infiliamo il cappotto, il cappello e appendiamo al braccio i sacchetti dei regali, poi ci avventuriamo giù per le scale e riattraversiamo il negozio di lingerie; le commesse annoiate ci salutano con un sorriso d’invito che non ci commuove.  In un attimo siamo fuori, di nuovo sotto la pioggia, a respirare l’aria fresca e marcia di questa Milano. Il marciapiede è affollato e ci stringiamo sottobraccio per non perderci, ancora insieme, sempre, dopo così tanto tempo. Di tutto quello che abbiamo intorno non c’è nient’altro da salvare.
Quasi inciampo in un barbone sdraiato nell’incasso di una vetrina; frugo in tasca, ripesco qualche moneta e la faccio scivolare accanto alla sua faccia, poi mi rialzo di scatto. «Andiamo a casa» dico risoluta. Ci scambiamo un sorriso, sento caldo e mi si stringe il cuore.

 

Proprietà letteraria riservata – vietata la riproduzione senza l’espresso consenso dell’autore.
© 2020 – Susanna De Ciechi.

Immagine dal web: opera di Stanislav Sidorov

 

 

 

 

 

 

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