Oggi verso l’ora di pranzo ho ricevuto questa email, firmata da una persona a me sconosciuta, di cui ho cancellato il cognome per le solite questioni di privacy:

ghostwriter

 

Tale Margherita in tono perentorio mi invitava a correggere un errore che errore non è, per giunta in un testo che, purtroppo, non è mio. Si tratta di una citazione da La trilogia della città di K di Ágota Kristóf – pag.210, da me ripresa in una pagina di questo sito: “Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia“.

Ho risposto volentieri a Margherita, innazitutto l’ho ringraziata per avermi dato l’opportunità di parlare del congiuntivo.

Si dice: ““Sono convinto… che ogni essere umano è nato per scrivere un libro…”, oppure “Sono convinto… che ogni essere umano sia nato per scrivere un libro…”?

Come ho detto la citazione è tratta da La trilogia della città di K di Ágota Kristóf, l’immensa scrittrice ungherese che immagino Margherita non conosca (ne ho parlato qui), ed  è  da me correttamente riportata con l’indicativo in una pagina del mio sito per due motivi: 1) la Kristóf ha scelto di adottare l’indicativo e io mi inchino alla sua scelta; 2) l’uso dell’indicativo è di norma la scelta corretta con i verbi che esprimono sicurezza.

Dice la Treccani (come l’Accademia della Crusca e qualsiasi grammatica):
“Con verbi che esprimono certezza, sicurezza, convinzione (se pur soggettiva: io sono sicuro che…) l’indicativo è corretto e normale e ben rappresentato nella tradizione letteraria antica e moderna. Gli stessi verbi, in frasi negative, richiedono il congiuntivo (io non sono convinto che le cose vadano dette), come anche in situazioni di controfattualità al passato (ero convinto che facesse freddo, ma poi la realtà smentì quella convinzione: faceva caldo).Va detto, però, che in situazioni come queste, nella scelta tra indicativo e congiuntivo, l’elemento della soggettività del parlante/scrivente può giustificare l’alternativa a quanto è ritenuto più logico, tradizionale, diffuso. Insomma, sono convinta che le cose vadano dette non è un’opzione scorretta”.

Per concludere, anche a me che scrivo per mestiere capita di sbagliare così come talvolta mi capita di notare gli errori di altri, tuttavia mi comporto diversamente da come ha fatto Margherita, che pure non conosco.
Per abitudine verifico, controllo: ciò che mi pare un errore lo è davvero? Il pericolo di parlare a vanvera, di dire una stupidaggine rischiando una figuraccia è sempre in agguato. Tuttavia non è neppure questo il motivo per cui mi sono infastidita per la sua osservazione, peraltro sbagliata e del tutto fuori luogo.

Le posso perdonare la sbadataggine. Quello che mi urta di più è il modo maleducato con cui è entrata “in casa mia” a gamba tesa, mandandomi una email da “saccente ignorante”, senza neppure presentarsi.

La buona educazione è un valore così come la forma è sostanza.

Chiudo regalando a Margherita un’altra citazione, questa volta del Mahatma Gandhi:

“Non è la letteratura né il vasto sapere che fa l’uomo, ma la sua educazione alla vita reale. Che importanza avrebbe che noi fossimo arche di scienza, se poi non sapessimo vivere in fraternità con il nostro prossimo?”

Sui tempi verbali valuti lei.

Immagini dal web:
La trilogia della città di K di Ágota Kristóf – Einaudi

 

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