È l’ultima notizia arrivata in redazione: un’altra donna uccisa. In un parco cittadino. Il cadavere è stato rinvenuto da poco. Straziato dalle coltellate. La radio diffonde la storia ben oltre la finestra socchiusa. Lei ascolta mentre lava le tazze del caffelatte; fa scorrere le dita sul bordo delle porcellane insaponate, le sciacqua sotto il getto dell’acqua tiepida, poi distende lo sguardo sul panorama, oltre le punte dei pini. Qui c’è solo pace, sospira, e quiete. Stare ai margini del paese, come della vita, ha i suoi vantaggi.

«Cristosanto, vuoi spegnere? Sai che la radio mi disturba e tra poco ho una call!» Lui la guarda senza vederla, le grida addosso: «Sei scema come un’oca».

A novembre la montagna è vuota e silenziosa. Negli spazi aperti tra boschi e pascoli i suoni riverberano nel vento e, insieme alle foglie, disperdono all’intorno sillabe isolate, frasi zoppe, qualche scambio di battute. Lui continua a rampognarla. Non importa, nessuno può sentire, nessuno si spinge fino a casa loro, a parte qualche volpe, un capriolo, i cinghiali e il resto dell’arca di zona. Non le spiacerebbe avere una vicina con cui scambiare qualche cortesia, s’infila la giacca, spingersi perfino a delle confidenze, prende la borsa e il cellulare. È già oltre la porta, in cortile. «Sto andando!»
«Aspetta! Hai le chiavi della macchina?»
Il motore sputacchia e subito si avvia.
«Aspetta! Scendo a chiudere il cancello.«
Il rumore delle gomme che mordicchiano i ciottoli e li sparano intorno durante la manovra.
«Hai preso i documenti, la mascherina, gli occhiali, il Green pass?»
L’auto rallenta, c’è un cambio di marcia, dalla retro alla prima.
«Vai piano. Benzina ce l’hai? Tieni al massimo il volume del cellulare altrimenti non senti quando ti chiamo.«
L’auto procede verso il cancello, a passo d’uomo.
«Ti ricordi dove sono gli abbaglianti?»
Un riverbero sul verde della siepe di alloro.
«Aspetta!  Cerca di usare il meno possibile il navigatore, solo se è indispensabile.«
Ah, questa non l’ha mai capita!
Ora la macchina è ferma sul passo carraio, poche decine di metri la separano dalla strada principale.
«Aspetta! Torna appena hai finito, non perdere tempo in chiacchiere con i colleghi.»
Lei svolta, dà un colpo di acceleratore e avanza verso la striscia d’asfalto, più avanti.
«Aspettaaa! Vai piano, oca!»
E invece sgomma sulla strada bianca.
Non guarda indietro, guida verso il lavoro, saluta i colleghi, scherza con la luce negli occhi, pare un’altra. È gentile, e sorride, forse è quasi felice per una manciata di ore.
Fuori è buio, l’ufficio chiude, il parcheggio è grigio scuro, come la sua macchina, l’unica rimasta.
Un’idea pazza: volare via per una destinazione qualunque, sempre meglio che perdere se stessa tra le pareti di casa.
Il ronzio del cellulare.
WhatsApp: «Dove sei finita? È tardi!»
Tardi per cosa?
L’auto ha già preso la via della montagna, i tornanti sono deserti, non c’è neppure un animale. Svolta nella strada che porta a casa, intravede una sola luce accesa.
Un messaggio vocale: «Perché arrivi solo adesso. Scendo ad aprirti il cancello, poi facciamo i conti».
E lui è lì al centro della carreggiata, agita le braccia, la faccia è ingrugnata. Lei avanza piano, è sudata per l’angoscia, lui grida qualcosa che lei non sente, ma il labiale, oh sì, è chiaro e dice Oca!
È stanca, la vista annebbiata, la gamba irrigidita preme sul pedale. Oddio, che oca!
Dura un attimo, il tempo di un’accelerata.

Photo by Amit Talwar on Unsplash

Proprietà letteraria riservata – vietata la riproduzione senza l’espresso consenso dell’autore.
© 2021 – Susanna De Ciechi.

 

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