Questo libro, Bianco è il colore del danno di Francesca Mannocchi, merita tutta la mia e la vostra attenzione; vi prego di non mancare di leggerlo, fareste un torto a voi stessi. In poco più di duecento pagine l’autrice, una donna  abituata ad attraversare i teatri di guerra, racconta il suo viaggio nella vita dal momento in cui scopre di avere una malattia da cui non potrà guarire. Il linguaggio è asciutto, essenziale, preciso e tagliente, la scrittura alta, una prosa perfino poetica che nulla ha a che spartire con certe altre scritture vuote, eppure osannate, che oggi hanno tanto successo.

La scrittura di Mannocchi e ciò che racconta sono la sua essenza.

È difficile parlare di questo libro, una sorta di diario. Mannocchi si mostra senza pelle e non so immaginare quanto possa esserle costato rendere pubblica la sua storia così come l’ha scritta, senza omissioni e senza sconti. Il racconto rende omaggio a questa donna speciale che a un certo punto, quando il corpo la tradisce, inizia a indagare su se stessa e mette in discussione perfino la maternità, la relazione con il figlio.

Bianco è il colore del danno non è una lettura facile perché ci costringe a confrontarci con una realtà che non vorremmo mai conoscere, qualcosa che speriamo rimanga sempre lontano da noi, che riguardi comunque un altro, eppure è un libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto chi è malato e chi a un malato è vicino perché è destino che nel corso di un’esistenza prima o poi tocchi a ciascuno di noi vestire queste panni.

“La vergogna è questa cosa qui. Ci rivela cosa siamo per gli altri, quanto valiamo nel catalogo dei vivi, ora che siamo guasti”.

“Quando nasce un figlio non è detto che nasca una madre”.

Dalla quarta di copertina: “Quattro anni fa Francesca Mannocchi scopre di avere una patologia cronica per la quale non esiste cura. È una giornalista che lavora anche in zone di guerra, viaggia in luoghi dove morte e sofferenza sono all’ordine del giorno, ma questa nuova, personale convivenza con l’imponderabile cambia il suo modo di essere madre, figlia, compagna, cittadina. La spinge a indagare se stessa e gli altri, a scavare nelle pieghe delle relazioni più intime, dei non detti più dolorosi, e a confrontarsi con un corpo diventato d’un tratto nemico. La spinge a domandarsi come crescere suo figlio correndo il rischio di diventare disabile all’improvviso e non potersi quindi occupare di lui come prima. Essere malata l’ha costretta a conoscere il Paese attraverso le maglie della sanità pubblica, e ad abitare una vergogna privata e collettiva che solo attraverso l’onestà senza sconti della letteratura lei ha trovato il coraggio di raccontare”.

Bianco è il colore del danno di Francesca Mannocchi
pag.216 – Einaudi_StileLibero_2021

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