Pur avendo letto la maggior parte dei libri di Paul Auster, uno tra i miei autori preferiti, non conoscevo Sbarcare il lunario, un breve racconto autobiografico in cui lo scrittore svela le sue prime scelte di vita, la sua determinazione nell’affrontare lavori talvolta sgraditi e improbabili pur di “sbarcare il lunario”, i suoi fallimenti e la sua voglia di farcela sempre e comunque tentando anche strade assurde, lasciando a tratti allontanarsi e quasi svanire il suo obiettivo primario: scrivere, diventare scrittore.

Paul_AusterÈ una strada tutta in salita quella che decide di percorrere il giovane Auster che, nato in una famiglia non ricca, ma agiata in cui “i soldi parlavano, e così bene che se li ascoltavi e seguivi le loro opinioni, avresti imparato a parlare la lingua della vita”, sceglie di affrontare un’avventura di tipo diverso, senza alcuna rete di salvataggio: “A poco a poco cominciai a voltare le spalle ai miei genitori […] il mondo da cui provenivano non mi sembrava più un posto allettante dove vivere”. Il processo di distacco avviene per gradi mentre il futuro scrittore si rende conto che le sue simpatie iniziano a orientarsi “agli oppressi, agli espropriati, agli ultimi dell’ordinamento sociale”.

Intorno ai sedici anni inizia a cimentarsi in alcuni lavori di fatica, ma ricordandoli precisa: “I primi mestieri non contano. Ero ancora mantenuto dai miei genitori e non avevo nessun obbligo di provvedere a me stesso o di contribuire al bilancio familiare. Non ero sotto pressione, e quando non si è sotto pressione non si rischia niente di importante”.

Al di là della eccellente qualità letteraria di questa breve e parziale autobiografia, sono molte le considerazioni che induce il confronto tra la società di quell’epoca e quella attuale, pur tenendo nel dovuto conto la diversità dei contesti, com’è ovvio. Tuttavia colpiscono il pragmatismo, la forza e la determinazione di un ragazzo che persegue un obiettivo e lo manca di continuo, e per molte tempo, anche a causa di una buona dose di sfortuna. Il giovane Paul arriva a fare la fame, si sposta a Parigi per lunghi periodi mantenendosi in modo precario, si sposa, diventa padre, un momento di passaggio all’età adulta, tutto ciò in una vita che scorre all’insegna dell’insicurezza. E dopo una serie di fallimenti che pare non esaurirsi mai, ancora scrive e nel 1985 ottiene il successo internazionale con la Trilogia di New York mentre qualche anno prima aveva già pubblicato L’invenzione della solitudine.

In parte la grandezza di questo autore si è formata grazie alle esperienze, agli incontri di cui si è nutrito attraversando i tanti fallimenti cui non si è mai arreso. Non gli è mancato il coraggio di affrontare se stesso nelle disfatte con cui è stato costretto a fare i conti che in seguito sono diventate la sua ricchezza.

Infine mi piace ricordare come sono arrivata a questo libro. Ho sentito dire che tra i tanti lavori fatti da Paul Auster c’era quello di ghostwriter, poteva essere vero? Attraverso una veloce ricerca sono arrivata a “Sbarcare il lunario”. Ho scoperto che Auster non si era veramente cimentato nell’attività di scrittore fantasma; solo a seguito di una serie di strane circostanze aveva firmato un contratto, e incassato un assegno, per aiutare la giovane moglie di un produttore cinematografico a scrivere un libro. Il progetto di scrittura non si era concretizzato per difetto dell’aspirante autrice che si era sottratta all’impegno assunto. In proposito cito dal libro di Auster: “Presumere che un libro possa essere scritto da chi non è scrittore è già discutibile; ma ammesso che sia possibile, e che la persona che vuole scrivere il libro abbia qualcun altro che l’aiuta nell’opera, forse tra tutti e due, con molto lavoro e dedizione, possono giungere a un risultato accettabile. Se però il non scrittore non vuole scrivere il libro, l’altra persona a cosa serve?

E fu così che Auster fallì, senza dolo, la prova come ghostwriter, ma non restituì il compenso. Gli serviva per “sbarcare il lunario”, appunto.

Sbarcare il lunario_Cronaca di un iniziale fallimento di Paul Auster
Traduzione di Massimo Bocchiola
Giulio Einaudi Editore – 128 pagine

Dalla quarta: “Diventare scrittori, dice Paul Auster, significa essere scelti, e non aver più scelta. Da quel momento il tempo si divide tra ciò che si fa per «sbarcare il lunario» e lo spazio prezioso che, di sera o nei fine settimana, si riesce a dedicare alla scrittura. Ricostruendo il suo difficile ambiguo rapporto con il denaro dall’adolescenza alla maturità, Auster affida a queste pagine una parziale autobiografia. Seguiamo dunque il piccolo Paul che come ogni bravo bambino americano, si offre per spalare la neve dal vialetto dei vicini, e attraverso molte avventure, degne (inaspettatamente) di un vero cultore della «scuola della strada», naviga su una petroliera, fa il centralinista nella sede parigina del «New York Times» o il ghost writer per una ricca americana in Messico. Tutte professioni senza domani, che però lo arricchiscono di storie e personaggi. Durante l’Università, poi, a battezzare nel segno del fallimento la sua nascente attività letteraria, Auster indice tra i suoi compagni un premio per il Re dei falliti, cioè per colui che è capace di un crollo monumentale, di un atto gargantuesco di autosabotaggio”.

 

 

 

 

 

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