5 novembre 2024, il confronto Trump-Harris è prossimo all’epilogo. Mentre attendo di scoprire quale film andrà in scena, se un horror, una commedia, l’ennesimo film di guerra, o che altro, accadono piccoli fatti, anche un po’ comici. E disperanti.
La radio manda il segnale delle sette, dalle stecche delle persiane filtra una bruma ferrigna, un avviso di quasi nebbia; all’improvviso il cellulare strimpella e scassa l’avvio della giornata.
È Carla.
È dalla primavera che non ci parliamo. Lei si è allontanata da tutti, calata in una specie di auto-isolamento che ho cercato di scalfire invano, io nel tempo mi sono limitata a qualche messaggio WhatsApp in cui, un paio di volte al mese, digitavo uno sbrigativo: “Sei ancora viva?”
Aspettavo di vederla riemergere dal limbo in cui era precipitata, e comunque non vive sola, ha una famiglia che le sta vicino, ma una telefonata all’alba del 5 novembre suona come una campana a morto.
«Ho paura» esordisce Carla.
«Perché? Stai male? C’è qualcuno con te?» chiedo, in affanno.
«Sono sola, gli altri si stanno muovendo per casa, tra il bagno e la cucina.»
«Dove sei? Perché parli così piano? Alza la voce!»
«Non posso. Sono nella cameretta di Dodo, lui dorme beato. Poverino, il prossimo anno andrà in prima elementare e gli toccherà alzarsi con ancora le pieghe del sonno stampate in faccia, far la fila in bagno, poi la colazione, la cartella e via, dovrà infilarsi di corsa nell’ascensore con gli altri e poi via, ciascuno andrà sparato in una direzione diversa.»
«In teoria, noi vecchie abbiamo tempo. Sarebbe un vantaggio, visto da fuori.»
«Ma tu lavori, sei sempre presa in mille cose. È tanto che non ci vediamo.»
«Infatti, ho poco tempo, ma per te l’avrei trovato. Sei tu che non hai più voluto vedermi; a quanto so, non hai più voluto vedere nessuno.»
«Lascia stare.» Carla ha il respiro corto. «Adesso ho paura, sono agitata. Tu no?»
«Per cosa?» la incalzo. «Ci sono tanti di quei motivi che… Su cosa punti?»
«Non so in che mondo mi sveglierò domani. Intendo, se vince Trump. Dodo è così piccolo! Ha diritto a un futuro migliore.» Adesso piange, cerca di nasconderlo, ma la voce che trema la tradisce. «E le guerre, i matti, i fascisti…»
«Ascolta, Carla…» e subito mi taccio. Non so cosa dire, sono incazzata non meno di lei, ma non voglio avvilirmi e non mi arrendo. Forse perché i miei nipoti sono ormai adulti?
«Chi c’è in casa adesso?» rifaccio la domando.
«Dodo che dorme, e di sicuro è arrivata Elsa. Gli altri sono tutti usciti, la porta ha sbattuto tre volte. Ho contato.»
Dunque se ne sono andati senza cercarla per un saluto. Carla deve avermi letto nel pensiero: «Sanno che non voglio essere disturbata, mi alzo sempre verso le nove e la mattina non incrocio nessuno.»
Come posso aiutarla, in questo momento di sconforto? Giro per casa con la tazza del primo caffè della giornata tra le mani, poi mi fermo alla finestra: la foschia, sempre più densa, conferma l’avvio di una giornata tetra; gli alberi hanno ancora tutte le foglie, ma grondano umidità. Eppure per me è questo il tempo in cui scrivere è ancora di più un piacere, vieppiù scrivere a lungo, concentrata sulla tastiera, immersa nel disordine di carte sparse sulla scrivania, interrotto da un piccolo vassoio con una tazza di tè e il piattino dei biscotti, la scatolina delle caramelle, e diverse paia di occhiali, per usi differenti. È l’habitat ideale, quello in cui produco meglio e l’ultima cosa che desidero è uscire, e tuffarmi nell’aria bagnata che mi increspa i capelli. Proprio no.
«Sei ancora lì?» domanda Carla, poi borbotta tra sé: «Mi sa che è caduta la linea».
«Sono qui» rispondo secca. «Non mi lasci neanche il tempo per pensare.» Sento Carla che si muove, una porta cigola, poi lei dice qualcosa sul bambino che ancora dorme. Di certo parla con Elsa. Per fortuna che Elsa c’è.
«Ehi!» grido nel cellulare. «Fatti bella che tra un’ora sono da te. Usciamo a pranzo, noi due da sole.»
«No. Non so» dice lei. È come se vedessi la sua espressione incerta, le labbra imbronciate, la testa inclinata, le dita che tormentano una ciocca bianca, mentre mormora più a se stessa che a me: «È tanto che non esco».
«Non accetto un rifiuto, e poi l’hai detto tu che non sappiamo in che mondo ci sveglieremo, domani. Ho voglia di mangiare del buon pesce. Sto già mettendo il rossetto, non farmi aspettare.» E sì, andiamo a festeggiare l’ultimo giorno di questo vecchio mondo perché, comunque vada, domani gireremo un altro angolo.
«Non posso scegliere, vero?» Carla è arrabbiata, lei così mite. «Tu verrai qui e mi tirerai per i capelli pur di costringermi a fare a modo tuo.»
«Ebbene sì, se mi obbligherai» rido, preoccupata.
«D’accordo, facciamo come vuoi, ma tu mi porterai indietro, alla nostra vita, quella di prima? Prima di tutto, quando io stavo bene. Lo prometti?» sussurra Carla, poi le sfugge un singhiozzo e grida: «Non riesco più a ricordare com’era».
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