È arrivata la versione cartacea de La regola dell’eccesso, il romanzo autobiografico di cui sono autrice con Renato Tormenta. Ebbene, gli ebook mi piacciono, li trovo comodi, funzionali a parecchie specifiche esigenze e perfino ecologici, ma la carta è un’altra cosa. È d’accordo con me anche il mio co-autore, Renato Tormenta. Apparteniamo tutti e due alla generazione di quelli che con la carta ci sono nati. Ci piace la sensazione tattile della copertina nuova, l’aspetto intonso della costa del libro prima che venga squadernato, il frusciare delle pagine e quell’odore di cassetto chiuso, di stantio che, ovunque ti trovi, quando leggi ti riporta sempre a casa. E poi il libro di carta è tangibile, concreto. Renato ed io soppesiamo il nostro, lisciamo con le dita la copertina, e ridiamo come due stupidi. C’è tutta una storia, non solo dentro il libro. C’è la storia di quanto ci sia costato scriverlo e di quanto ci abbia personalmente arricchito arrivare fino all’ultima pagina. E c’è una storia anche avanti, proiettata nel futuro. Grazie, Renato! Grazie a te, Susanna!
“VIVA l’innovazione, il libro elettronico, il print on demand (si stampano solo le copie acquistate e si evitano le valanghe di resi), il fecondo rapporto tra nuove tecnologie e cultura. Ma mette un brivido sentire (intervistato su Radiorai) non so quale boss di Amazon sentenziare che in un futuro prossimo «a decidere quali libri stampare e quali no saranno le community dei lettori, non gli editori». In apparenza è un allargamento “democratico” delle decisioni, un colpo all’elitarismo intellettuale. In sostanza, è il definitivo asservimento della cultura ai gusti di (presunte) maggioranze, e fa venire in mente l’aforisma di Marcello Marchesi sulla società di massa: «mangiate merda, miliardi di mosche non possono avere torto». La dittatura del mercato incarna il sogno del signor Amazon ma anche l’incubo delle minoranze, dei curiosi, degli irrequieti, o più semplicemente dei veri innovatori (che faranno le fortune future anche di Amazon). Il rischio intellettuale non è vidimabile da una serie di “mi piace”. L’attuale, imperfettissimo sistema editoriale va da scemenzuole di successo come le Sfumature di grigio a splendidi e sparuti libri di poesia, con tutta la gamma intermedia. Mi chiedo quale “community” sarebbe in grado di scegliere, e di sbagliare, con tanta libertà e con tanta varietà. Il conformismo è la via più rapida, feroce ed efficace per distruggere pensiero e poesia. Per saperlo bisognerebbe — per esempio — leggere Álvaro Mutis. Ma la “community” di riferimento del signor Amazon terrebbe in catalogo Álvaro Mutis?” Da La Repubblica del 16/05/2015
Capisco il ragionamento di Serra, ma non concordo. Penso che ognuno potrà trovare il proprio spazio attraverso percorsi nuovi e diversi. L’editoria si sta trasformando, il settore sta attraversando una vera e propria rivoluzione. Quando l’orizzonte tornerà a schiarirsi e il polverone decanterà, scopriremo che qualche nuovo alberello è spuntato tra le macerie. Penso anche che nulla vieti agli estimatori della poesia, di Álvaro Mutis o di chicchessia, di costituire la propria comunità. La vera sfida, forse, sta nell’indirizzare i giovani a essere curiosi fuori dagli schemi. E questo dovrebbe essere uno dei compiti della scuola.
Torna per il sesto anno l’appuntamento a Milano con l’appena conclusosi Trento Film Festival 2015. Un gemellaggio che ha portato anche quest’anno, sul fronte del cinema per ragazzi, alla presentazione, durante la 63esima…
Un altro frammento di viaggio che non è stato utilizzato all’interno de La regola dell’eccesso. Questa volta Renato Tormenta è sul Machu Picchu e aveva da poco lasciato gli amici che avevano deciso deciso di proseguire…
Cos’è la non fiction? Forse tutto ciò che non rientra nella definizione di romanzo fino a intendere anche ciò che è privo di trama? Andrea Bolzonella osserva come in tale definizione rientrino una quantità di opere differenti tra loro e di genere molto diverso – vedi http://www.sulromanzo.it/blog/che-cos-e-la-non-fiction di cui consiglio la lettura. L’articolo si conclude con un invito, infatti, Bolzonella suggerisce: “chiedetevi cosa vi trasmette la parola non-fiction, che idea ne avete; chiedetevi se il confine tra finzione letteraria e realtà oggettiva è chiaro e definito; domandatevi cosa rappresentano per voi concetti come “trama”, “personaggi”, “storia vera”. I libri che scrivo narrano le storie vere di altri e rientrano di diritto nel genere non fiction. Per me, che in qualità di ghost writer li condivido con i miei narratori, ovvero con le persone che mi raccontano le storie che scrivo, sono sempre frutto di grande emozione, l’occasione di imparare cose nuove, di acquisire amicizie inaspettate e preziose. Il modo per entrare in mondi diversi dal mio attraverso percorsi che allargano i miei orizzonti. Le storie vere e straordinarie di persone comuni, uomini e donne in cui possiamo riconoscerci, si snodano sul filo di trame che a volte rischiano di parere perfino inverosimili eppure sono autentiche come autentici sono i personaggi, pieni di limiti e ambiguità, talvolta negativi, magari antipatici, turbolenti così come li percepisco nel modo in cui mi rendono partecipe della loro storia. Qual è il limite tra finzione letteraria e realtà oggettiva? Per me esattamente quello indicato da Gabriel Garcia Marquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda per raccontarla”.
Renato Tormenta ha viaggiato moltissimo fin da quando aveva diciotto anni. Lo scoprire posti e culture diverse è sempre stata una delle sue grandi passioni. Nel libro che racconta la sua storia non abbiamo raccolto….
Ho letto il post di Federica Aceto – https://federicaaceto.wordpress.com/2015/05/08/traduttori-anonimi/ – che affronta molti temi interessanti legati al mondo dell’editoria, riassumibili in tre hashtag che, cito l’autrice, sono utili per capire “certi meccanismi fallimentari dell’editoria di oggi: #iononleggoperché, #iononpagoperché e #iolavoroperduesoldiperché”. L’articolo merita di essere letto con attenzione e mi trova d’accordo su tutti i punti. Tra l’altro suggerisce un attento ascolto dei motivi per cui i non lettori sono tali. Può darsi che a qualcuno non piaccia leggere e basta; in questo caso i lettori e gli scrittori non devono sentenziare. Leggere non può essere un obbligo. I lettori occasionali, magari anche svogliati, forse hanno bisogno di essere stimolati con nuove proposte. Nello stesso post Federica Aceto dice: “i non lettori spesso hanno storie interessantissime da raccontare. I libri più belli spesso parlano di non lettori e sono stati scritti da gente che ha avuto la capacità e l’umiltà di ascoltarli e di non prenderli per il culo”. Interpreto il suo pensiero dal mio punto di vista, quello del ghost writer cui vengono sottoposte storie vere da trasformare in autobiografie, narrazioni in cui i lettori possono riconoscersi e appassionarsi, arrivando senza sforzo alla fatidica ultima pagina. Le biografie di persone comuni, anche quando raccontano di vite straordinarie non riscuotono alcun interesse da parte degli editori che, invece, pubblicano volentieri le storie di vita del calciatore di turno, della soubrette, per ovvie ragioni mercantili. Invece, questo tipo di memoir, se scritto in modo “onesto e coinvolgente” (per usare le parole di un lettore che ha recensito un libro di cui sono coautrice), può trovare la propria collocazione grazie al self-publishing, e incontrare così i suoi lettori. Sarebbe bello che riuscisse ad attirare un po’ di curiosità anche tra gli addetti ai lavori che ancora guardano con pregiudizio tutto ciò che viene auto-pubblicato, dando per scontato che non sia professionale. Tutto evolve, occorre prenderne atto e provare a dare spazio a libri potenzialmente “amici” anche di chi con la lettura ha, per il momento, poca dimestichezza. In futuro, chissà!


