Qualche tempo fa una rivista mi ha chiesto di scrivere un articolo sul ghostwriting; ho accolto l’invito di buon grado.  Fatto l’articolo, l’ho consegnato alla redazione e non ci ho più pensato fino a ieri. Siamo nel pieno della primavera una stagione che stimola le operazione di riordino cui mi dedico sfruttando la cosa come un passatempo, per prendere fiato dalla scrittura del romanzo autobiografico in corso.  Per quanto mi riguarda, il riordino comprende qualsiasi cosa: gli amatissimi libri che si accumulano in modo disordinato e che adesso sto catalogando con cura maniacale, i vestiti, i jeans che mi piacciono tanto, ma “segnano” i chili di troppo come nessun altro indumento, gli ombretti che uso assai raramente, ma mi piace avere, e poi passo alla cucina dove le scatolette scadute gridano di volere trovare pace in fondo al cassonetto. L’elenco delle tappe del riordino è quasi infinito e potrebbe arrivare a comprendere anche le pulci del cane, ma Tina ne è esente perchè sottoposta con regolarità a opportuna profilassi. E ci mancherebbe pure!
Ieri ero alle prese con una sfilza di riviste cartacee messe da parte per vari motivi. Sfoglio, leggiucchio, separo pile e osservo con più attenzione quelle su cui è scritto qualcosa che mi riguarda e che archivio in digitale; mi ritrovo davanti il famoso articolo. Lo rileggo e, a distanza di mesi, scopro che è costellato di D eufoniche. Non è da me! Com’è possibile? Cosa avevo bevuto il giorno che l’ho scritto? Che tipo di acqua, visto che il vino lo riservo solo per le occasioni speciali? Cerco il file nel computer e scopro che il testo originale è pulito. Tiro un sospiro di sollievo; non sono ancora rincretinita del tutto.  Adesso ho chiaro quel che è successo: quando ho consegnato il testo alla redazione è stato preso in carico da un giornalista che lo ha “controllato”. Magari leggendo avrà pensato: “ma che bestia questa ghostwriter, ha saltato tutte le d. Come mai?”. Ci ha pensato lui, o lei, esperto di scrittura, a risolvere il problema e ha aggiunto le d eufoniche là dove non ci volevano. Non dirò qual è la rivista, ma se il colpevole leggerà questo post dovrà farsi un esame di coscienza. Infatti, se fai l’idraulico o l’ingegnere puoi non saperlo, ma se il tuo lavoro consiste nel maneggiare le parole, la scrittura, devi conoscere le regole. Questo è il minimo richiesto a ciascuno in relazione all’occupazione che svolge. Sì, perché io sono tra quelli, fuori moda, che pensano ancora che la competenza sia un valore.

Dice  l’Accademia della Crusca che l’uso della ‘d’ eufonica, secondo le indicazioni del famoso storico della lingua Bruno Migliorini, deve essere limitato ai casi di incontro della stessa vocale, quindi nei casi in cui la congiunzione e e la preposizione a precedano parole inizianti rispettivamente per e e per a (es. ed ecco, ad andare, ad ascoltare, ecc.).

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