Uno dei temi che tiene banco in questi giorni è quello dell’aggressione ai danni di numerose donne avvenuta la notte di Capodanno a Colonia, per mano di circa mille uomini che, secondo le autorità tedesche, in relazione al loro aspetto, per la maggior parte possono essere identificati come di origine nordafricana o araba. Le indagini sono in corso, i fatti sono gravissimi e non vanno sottovalutati. Tuttavia i molestatori hanno casa ovunque nel mondo, non ha senso cercare di incasellarli per etnia, religione, provenienza. Il punto è un altro.
Le molestie sessuali dovrebbe essere l’occasione per portare l’attenzione sui diritti delle donne, di cui si parla sempre troppo poco, quando ancora esse sono oggetto di questi fenomeni non solo per strada e nelle piazze o tra le pareti di casa ma ovunque e anche, in modo ancora più subdolo e strisciante, nell’ambito di gruppi chiusi, che in apparenza inzuppano il pane con la cultura e il diritto. Di questo nessuno parla e, peggio ancora, talvolta le stesse donne non solidarizzano con chi tra loro ne è vittima.
In proposito ho trovato interessante l’articolo di Musa Okwonga su Internazionale, che tra l’altro dice: “La portata delle violenze a sfondo sessuale contro le donne in tutto il mondo è incredibile: è raccapricciante, dolorosa e suscita molta rabbia. Che le donne si trovino in spazi pubblici o nella presunta sicurezza delle loro case, i reati commessi contro di loro sono infiniti”. Inoltre sottolinea il pericolo della strumentalizzazione in chiave politica dei recenti episodi avvenuti in Germania. A mio avviso ha ragione, la manipolazione è in atto ed è vero che “ai razzisti non importa delle donne che sono state aggredite”. Infatti, quel che conta è dare contro ai diversi, a qualsiasi titolo e a prescindere da ogni logica.
È sempre stato così, lo conferma la Storia, da cui però non traiamo mai alcun insegnamento.
Alle donne ieri, come oggi, non si risparmia niente, neppure quando sono bambine.
Per il mio lavoro di scrittore fantasma mi capita di frequente di ascoltare storie terribili. A volte sono testimonianze indirette, comunque difficili e dolorose; in altre occasioni, quando lavoro su un romanzo autobiografico, sento tutto la disperazione di chi rivive una storia del passato e, ancora a distanza di decenni, fatica a vomitarne il ricordo. Raccontare, scrivere, gridare al mondo non è una presa di distanza sufficiente.
Per esempio, non dimentico la volta in cui Tessa Krevic, una bella signora, elegante e sicura di sé, decisa nei modi, a volte perfino sbrigativa, mi ha raccontato quel che è accaduto il giorno in cui un gruppo di uomini ha preso di mira lei, ragazzina di quindici anni. Ho ascoltato le sue parole, smozzicate, soprattutto ho letto nei suoi gesti, nell’espressione della faccia, negli occhi mobili e lucidi, la fatica e il dolore per quel ricordo lontano riportato al presente. Tutto ciò accadeva qui vicino, nella ex-Jugoslavia. La maggior parte di noi, me compresa, stava facendo altro. Le conseguenze sono state terribili. Ora il peggio si ripropone, in forme diverse. Serve tutta la nostra attenzione, il nostro impegno per capire quel che accade, senza alcun pregiudizio.

Nell’immagine citazione dal capitolo 1, riportata anche qui di seguito, di Tessa e basta:
«Però sei una bellezza!» Brutta pelle lanciò in giro un sorriso sdentato.
«Una bella cetnik. Tutta per noi.» Anche il bassetto adesso stava a braccia conserte e gambe larghe davanti a Tessa.
«Lo sapete di chi è figlia, vero?» disse rivolto a quelli del bar. «Dai, divertiamoci un po’! Scopiamola per bene. La figlia di un cetnik.»
«Siete impazziti?» Sanja gridò, la voce come un latrato, mentre Tessa iniziava ad arretrare.
«Sì, le strappiamo i vestiti. Dai! Poi la scopiamo. Tutti quanti. Anche i vecchi.» Il tarchiato esplose in una risata cattiva. Era il più infoiato. La tensione tra i tavoli del bar era alle stelle.
«E poi andiamo al fiume e l’anneghiamo nell’acqua bassa, piano piano. Che si accorga di morire.» Piantò gli occhi in faccia alla bambina. «Potrai ammirare le punte dei pini mentre tiri fuori l’ultimo fiato a pelo d’acqua. Cosa ne dici, cetnik? Ti piace il programma?»

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