Qualche giorno fa, io e il sant’uomo che vive con me, siamo andati a visitare la Vigna di Leonardo conservata nel giardino della Casa degli Atellani, a Milano. Avevamo prenotato la visita da più di un mese. Un gesto incauto, infatti non avevamo tenuto conto di un dettaglio fondamentale: non avremmo potuto portare Tina con noi, i cani non sono ammessi. La bestiola sarebbe dovuta restare a  casa, sola, per almeno tre ore. Mica poco per un cane di otto mesi, curioso e fognino, che approfitta di ogni nostra distrazione per tentare di salire sul divano nuovo.
Tuttavia era un’esperienza da fare, un passaggio obbligato nel rapporto cane-padrone, basato sulla reciproca fiducia e sulla possibilità di godere entrambi di un po’ di autonomia. E poi per ogni cosa c’è sempre una prima volta.
Alle due del pomeriggio siamo usciti affidando la casa a Tina. Appena fuori dalla porta l’ansia si è manifestata con un raspino in gola cui non ho potuto rimediare perché, frugando nella borsa, ho scoperto di non avere caramelle, solo una confezione da passeggio di biscotti per cani di taglia piccola.
Siamo arrivati puntuali in Corso Magenta. Federica, la nostra guida, ci aspettava davanti a Santa Maria della Grazie. Nel giro di una manciata di minuti si sono unite a noi una quindicina di persone: anziani e donne incinte. Non potendo collocarmi tra le signore in dolce attesa anche per questioni di carattere anagrafico, ho realizzato che rischiavo di confondermi tra i pensionati.
«Dove mi hai portato?» ho sibilato al mio compagno mentre sbirciavo il lato femminile della brigata.
«Cosa c’è che non va?» Lui mi conosce bene e mi capisce al volo.
«Sono mica giusta qui. Sono mica anziana, io. Sono una ghost writer gio-va-ni-le.»
«Tu non ti comporterai da anziana neanche nella bara, cara mia.» Sogghignava e mi spingeva più vicino al resto della comitiva. Per intrupparmi. «Darai del filo da torcere anche nell’al di là. Sarai una ghost rompiballe. Organizzerai sortite e gruppi di intervento ai tavoli dei medium più famosi. Insomma, non ti smentirai neppure da morta.»
«Io non ho nulla da spartire con queste vecchie qui.» Intanto mi rimiravo dentro lo schermo del mio smartphone da sei pollici. La misura extra-large è un’esigenza legata al fatto che sono cecata perfino con le lenti a contatto.
«Hai ragione. Non hai niente in comune con le signore. I loro mariti hanno un’aria così serena… E anche loro.»
«Certo!» ho ribattuto. «Non hanno mica lasciato la casa nelle zampe di un cucciolo che gliela sta distruggendo!»
«Figurati!» ha risposto, però gli è comparsa la solita ruga di preoccupazione, quella di traverso sulla fronte che io chiamo “la fossa”, tanto è profonda, ma è anche il segno che lo rende così simile a Robert De Niro in quelle inquadrature in cui è tutto spiegazzato. Beh, confesso, quando è così mi ricordo che mi piace ancora. Comunque mi ero vendicata delle sue insinuazioni: gli avevo fatto sorgere un dubbio sulla lealtà di Tina. Lo spiavo e un po’ mi spiaceva di avergli rovinato il buonumore.  Infatti, quando abbiamo varcato la soglia della casa degli Atellani, ho visto che si massaggiava lo stomaco. La solita gastrite. Però la visita alla vigna di Leonardo è stata interessante, mi è piaciuta e la consiglio.
E Tina? E la casa? Il divano, soprattutto?
Questa è un’altra storia, magari un altro post.

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