È uscita da pochi giorni la versione originale dell’ultimo libro che ho scritto nelle vesti di scrittore fantasma, il titolo è Il mio ultimo anno a New York, già pubblicato nella traduzione in inglese di Alastair McEwen come My last Year in New York e presentato lo scorso novembre a New York. Ho scritto questo libro ispirandomi alla storia vissuta da una giovane italo-americana, Anna, che a vent’anni lascia Venezia per New York con in tasca il lasciapassare di uno stage da Valentino. Il suo trolley è pieno di sogni e a quel punto Anna, sottile fuori e d’acciaio dentro, prende la rincorsa nel lavoro e nella vita. Incontra Marco, italiano e migrante 2.0, che non la vuole, ma lei riesce a conquistarlo. Il futuro è pieno di promesse, il sogno americano sta per diventare realtà e forse è il momento di pensare a un bambino quando tutto cambia. Anna è di nuovo sola a New York.
Le vicende da cui prende spunto il romanzo mi sono state raccontate da Annalisa Menin, la mia narratrice, ed è proprio lei la giovane veneziana con una grande passione per i viaggi, trapiantata a New York dal 2006, dove ancora vive e lavora. Nella Grande Mela ha conosciuto Marco, suo marito. Rimasta sola dopo la perdita prematura del compagno, ha voluto così testimoniare oltre dieci anni vissuti da migrante 2.0.
Come sempre i libri realizzati a quattro mani con il ghostwriting nascono dall’incontro tra un narratore con una storia da raccontare e uno scrittore che “raccoglie la storia”, la filtra e la implementa per tradurla in un romanzo. Al primo appuntamento ci si annusa, si cerca di capire se sarà possibile sviluppare quel feeling senza il quale è impossibile realizzare insieme un buon libro. Quando ho conosciuto Annalisa, attraverso Skype, si trovava nel soggiorno di casa sua a New York, intabarrata in sciarpa e cappotto; era pronta per uscire infatti, per via della differenza di fuso orario, per lei era mattina presto e, come ogni giorno, l’aspettava il suo lavoro nell’ufficio di Valentino sulla 42°. Ricordo un raggio di sole sbiadito che illuminava la stanza arredata con mobili bianchi e al centro lei, gli occhi dilatati in uno sguardo cupo pieno di tristezza. Confesso che all’inizio ero molto incerta, non sapevo se accettare o meno l’incarico di scrivere questo libro soprattutto per via della sua età; non avevo mai scritto per una persona così giovane e temevo le conseguenze. Scrivere un romanzo che all’interno racchiude molti elementi autobiografici comporta per il narratore, colui che la storia l’ha vissuta, quello che io chiamo “uno scarto del cuore”, una sorta di infarto dei ricordi, un movimento interiore che cambia la persona. Di solito al termine di questo percorso, quando l’ultima pagine è scritta e si mette la parola “fine”, chi ha raccontato la storia, il protagonista del libro, si trova sbalzato in avanti, all’inizio di un nuovo futuro che non avrebbe mai immaginato il giorno in cui ha iniziato a parlare con me. Mi domandavo se sarebbe stato così anche nel caso di Annalisa. Beh, ora posso dire che il salto c’è stato. Il libro cui abbiamo lavorato insieme ha portato Annalisa su una nuova strada ed è perfino riuscito a far volare me fino alla Grande Mela.
Riguardo a Il mio ultimo a New York, è facile sintetizzare il contenuto di questo libro in sole tre parole: si tratta di una “straordinaria storia comune” in cui ciascuno di noi può trovare qualcosa che gli appartiene, un aspetto in cui identificarsi. È riduttivo pensare che ruoti solo attorno a una storia d’amore, in realtà c’è molto di più: è la storia di Anna e, allo stesso tempo, la rappresentazione dell’inizio di un corale atto di ribellione di tutte le donne che, come lei, da molto tempo hanno iniziato a rivendicare la possibilità di scegliere in autonomia della propria vita: studiare, viaggiare, imparare a stare da sole, corteggiare l’uomo di cui si è innamorate, godere la vita, decidere se fare un figlio oppure no e affrontare i dolori che inevitabilmente arrivano e poi, per fortuna, si attenuano e sfumano. Tutto ciò mantenendo vivi i ricordi perché noi senza i nostri ricordi non siamo niente. Oggi, fuori dal libro, questo corale atto di ribellione si va esprimendo attraverso un urlo che ingrossa e mi auguro diventi un ruggito. È qualcosa che dà speranza. Leggete questo storia con attenzione, andando oltre la cover che vi potrà magari apparire sbarazzina. Dentro ci troverete cose che non vi aspettate.
La citazione
“Mia madre non aveva mai saputo che ci fosse un’altra possibilità. Ai suoi tempi ci si sposava per fare figli, si lavorava per vivere, si fingeva di essere contenti della vita che si faceva. Se capitava che qualcuna fosse felice per davvero, quella era una grazia, soprattutto dalle mie parti. Anche Cristina, la madre di Marco, aveva avuto la stessa sorte. Bastava osservarla in quella foto che a lui era così cara: occhi tristissimi in cui si specchiavano pigne di panni da lavare, compiti da controllare, giornate sempre uguali in cui arrivava a sera morta di stanchezza, senza neppure la voglia di sognare. Una voragine di melanconia.
Un’altra epoca. Per me sarebbe stato diverso.
I figli a suo tempo“.
Nella foto un momento della presentazione del libro a New York il 14 novembre 2017 – Zarifa Maria Garofalo, Susanna De Ciechi e Annalisa Menin.