Elvira Dones è un’autrice di origine albanese che vive e scrive a cavallo di più lingue e Paesi, conosciuta a livello internazionale. La Dones, più volte emigrante, ha lasciato l’Albania nel 1988 e si è trasferita prima in Svizzera, poi negli USA dove tuttora risiede. Ha scritto in albanese, poi anche in italiano e ha prodotto romanzi, racconti, sceneggiature e documentari per la tv; per questo mezzo di comunicazione ha utilizzato l’inglese. Le sue opere portano luce e conoscenze su vicende individuali e collettive che altrimenti andrebbero dimenticate; tra i romanzi più noti da noi ci sono Piccola guerra perfetta e Vergine giurata da cui è stato tratto anche un film nel 2015.

Qui voglio porre l’attenzione su Piccola guerra perfetta. Il tema del romanzo è la guerra del Kosovo e nasce dalle testimonianze delle donne che Dones ha incontrato a distanza di pochi mesi dalla fine del conflitto. Nessun soldato occidentale ha perso la vita in quel conflitto gestito dal cielo, ma a terra sono accadute cose terribili e, riguardo a ciò, lei è riuscita a conquistare la fiducia di uomini e donne che le hanno affidato la loro memoria, i ricordi da cui è nato il libro. Rammento una frase detta dall’autrice in una intervista che mi è rimasta impressa: “... mi misero il loro cuore nel palmo della mano. Quando mi sentii pronta scrissi il libro in forma di romanzo”.

Piccola guerra perfetta parla di tre donne relegate nello spazio di un piccolo appartamento a Pristina e di ciò che accade ai componenti delle loro famiglie dopo essere usciti di casa. Il libro racconta di una segregazione materiale, ma anche culturale e di genere e lascia molte domande senza risposta sui destini delle persone, sulle elaborazioni dei traumi di guerra, sulle ferite dell’anima che forse resteranno per sempre aperte. Non ci sono giudizi, o auspici nel finale che si chiude con l’immagine di una morte per cause naturali, un’eccezione che forse segna un cambio di rotta. La normalità era la morte violenta, la paura di uscire di casa anche solo per comperare il pane; nel finale si avverte un sovvertimento di questa anomala normalità. Cade la segregazione con cui inizia il romanzo. Tuttavia come le vicende balcaniche stanno dimostrando, le questioni non sono ancora risolte. Il romanzo non si pronuncia su questo, lascia le valutazioni ai lettori.

Nel mio lavoro di scrittrice che racconta le storie degli altri mi è capitato di scrivere romanzi autobiografici ambientati nel contesto di una guerra, ne cito uno per tutti,  Tessa e basta, un libro che ho realizzato con Tessa Krevic, mia coautrice e protagonista della storia ambientata in Croazia durante la guerra dei Balcani. Scrivere questo libro è stato difficile sia per me che per lei, tanto coraggiosa da riattraversare gli anni dolorosi del conflitto, iniziato durante la sua adolescenza. Per quanto riguarda me, raccogliere il racconto di Tessa, darle voce, ha cambiato la mia visione del mondo e ha accresciuto il mio interesse per questo tipo di narrazioni. Per questo sono stata felice di scoprire Elvira Dones, cui per alcuni aspetti mi sento affine, e ammiro in lei la donna che osserva e scrive la realtà con una scrittura secca ed essenziale, raccogliendo e mediando le testimonianze di chi l’ha vissuta.

Da notare che l’appartenenza di Dones alla categoria dei migranti e la sua scelta di scrivere anche in italiano collocano le sue opere nella “letteratura della migrazione”. Al riguardo lei sostiene che la definizione di scrittore migrante finisca per relegare in un recinto gli autori che fanno letteratura usando la lingua d’adozione, l’italiano. Se da un lato vengono ribaditi i rischi di semplificazione o addirittura di ghettizzazione insiti in questa etichetta come in qualsiasi altra, dall’altro l’autrice ribadisce la sua appartenenza alla categoria di scrittrice della letteratura della migrazione in quanto il viaggio e il vivere altrove rappresentano la sua condizione di vita. Tuttavia sostiene anche che non sono sufficienti le scelte di migrare e di scriverne per affermare di contribuire all’arricchimento della letteratura della migrazione perché, dice, “è necessario che ciò di cui si scrive abbia un valore estetico umano e di racconto, dove gli uomini di altrove si possono rivedere, riconoscere e incontrare” e ribadisce la necessità di andare oltre l’autobiografia sottolineando il portato che questa letteratura per considerarsi tale deve necessariamente produrre. È un pensiero che condivido.

Citazioni:

Ajkana si alza in piedi. Va ad accarezzare i panni stesi. Se potesse dormirebbe un paio d’ore, ma non ci riesce. Si guarda intorno. Una volta, da fidanzati, lì in fondo al cortile avevano fatto l’amore in piedi. I suoi genitori erano andati in visita da una zia, e Valmir era venuto a trovarla. Con tutta la casa a disposizione, quel sesso a cielo aperto era stata la cosa più trasgressiva che avessero mai fatto. Lei fissa il luogo con lo sguardo, la scena vivida, vecchia di un secolo. Se è vivo, Valmir ritornerà. Se non è vivo ritornerà lo stesso“.

Una via di fuga dal Kosovo avrebbero potuto trovarla in tanti, semplicemente l’intellighenzia, i professori universitari. Invece molti di loro erano rimasti, in attesa, pronti a immolarsi in nome della terra e della sua storia. Tutti indaffarati nel provare al prossimo quanto ci tengano, e che fare i fuggiaschi non è roba per loro. E ora eccoli qua, tutti quanti, anche i serbi, presi in trappola. Tra ragione e follia ha vinto la seconda, mentre le case bruciano e i figli spariscono nelle prigioni serbe, e i ragazzi di vent’anni imbracciano fucili che non sanno usare“.

Video di Elvira Dones

Piccola guerra perfetta di Elvira Dones
Einaudi Stile libero Big, 2011
pp. XII – 172 – prefazione di Roberto Saviano

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