In questi giorni tutti abbiamo letto del ragazzino di quattordici anni partito dal Mali su un barcone di migranti con cucita nella tasca interna della camicia la pagella e finito a dormire in fondo al mare; è una di quelle storie che rimangono nella testa e nel cuore. L’ha raccontata Cristina Cattaneo nel suo libro Naufraghi senza volto. La Cattaneo è un medico legale e ha ideato il primo protocollo per identificare le vittime dei naufragi che da anni avvengono nel Mediterraneo.

Il bambino con la pagella piena di dieci, cui ha dato una speciale visibilità l’illustratore Makkox con una bellissima vignetta, non è solo, purtroppo. In queste ore i corpi di altri 117 migranti, e chissa di quanti altri di cui ancora non sappiamo, hanno trovato rifugio nella bara del mare.

Di fronte a queste stragi, crimini contro l’umanità, chi ci rappresenta usa espressioni immonde, dice che “la pacchia è finita”, cavalca l’odio grazie anche agli indifferenti, coloro che restano in silenzio e si fanno complici.

Ero convinta che politiche tanto miserabili non avrebbero trovato terreno fertile; dopo tutto apparteniamo a una terra di emigrazione e di accoglienza.  Invece il razzismo ha contagiato tanta gente, infatti sono in molti a credere nella propaganda a uso elettorale, fatta di falsità che avvelenano il Paese.

E intanto uomini, donne e bambini con alle spalle storie che è perfino difficile immaginare, continuano a morire per la nostra indifferenza, per quella dell’Europa, di un mondo diviso per difendere le proprie rendite di posizione.

Prendiamoci un po’ di tempo per tornare a pensare con la nostra testa e vediamo di rinsavire. Per combattere il razzismo occorre sapere cosa sia; a questo proposito mi sono ricordata di un piccolo grande libro, Il razzismo spiegato a mia figlia di Tahar Ben Jelloun uscito vent’anni fa, in cui l’autore spiegava alla sua bambina cosa fossa il razzismo. È una buona idea leggerlo, o rileggerlo, insieme ai propri figli, o ai nipoti. Qui di seguito ne riporto qualche riga:

– I razzisti possono guarire?

– Tu pensi che il razzismo sia una malattia!

– Sì, perché non è normale che uno disprezzi un altro perché ha un colore diverso della pelle…

– La guarigione dipende da loro. Se sono capaci di rimettere in questione se stessi o no.

– Come fa uno a rimettersi in questione?

– Si pone delle domande. Dubita. Dice a se stesso: “Può darsi che io abbia torto a pensare come penso”. Deve fare uno sforzo di riflessione per cambiare modo di ragionare e di comportarsi.

– Ma tu mi hai detto che le persone non cambiano…

– Sì, ma si può prendere coscienza dei propri errori e superarli. Questo non vuol dire che uno cambi davvero. Si adatta. Può succedere, quando uno a sua volta è vittima di un rifiuto razzista, che si renda conto di quanto il razzismo sia ingiusto e inaccettabile. Per rendersene conto basta accettare di viaggiare e di andare alla scoperta degli altri. Come si dice, i viaggi formano la gioventù. Viaggiare è il piacere di scoprire e di imparare, è capire quanto siano diverse tra loro le culture e come siano tutte belle e ricche. Non esiste una cultura superiore a un’altra cultura.

– Dunque c’è speranza…

Bisogna combattere il razzismo perché il razzista è nello stesso tempo un pericolo e una vittima.

– Come può essere entrambe le cose nello stesso tempo?

– È un pericolo per gli altri e una vittima di se stesso. È in errore e non lo sa, o non vuole saperlo. Ci vuole coraggio per riconoscere i propri errori. Il razzista quel coraggio non ce l’ha. Non è facile ammettere di aver sbagliato e criticare se stessi. (…)

(da Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, 1998 – cit. pag.56 edizione pasSaggi Bompiani)

 

 

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