Questa mattina ho letto un articolo di Marguerite Yourcenar uscito con il titolo “Glose de Noël” su “Le Figaro” del 22 dicembre 1976. In seguito il pezzo è stato inserito in “Il Tempo, grande scultore”, una raccolta di testi della Yourcenar tradotti da Giuseppe Guglielmi, edita da Einaudi nel 1985. Pangea lo aveva riproposto la vigilia di Natale del 2019 – qui trovate il link – e lo ha rimesso in circolo in questi giorni. Il tempo passa, ma ciò che scrive l’autrice francese vale per tutte le feste che precedono e seguono a ruota il 25 dicembre di ogni anno.

Per la maggior parte degli odierni celebranti, la grande festa cristiana si riduce a due riti: comprare, in modo più o meno obbligativo, oggetti utili o meno, e ingozzarsi, o ingozzare le persone della propria stretta cerchia, in un inestricabile miscuglio di sentimenti in cui entrano in parti uguali il desiderio di far piacere, l’ostentazione, e il bisogno di spassarsela a propria volta un poco. E non dimentichiamo, simboli antichissimi della perennità del mondo vegetale, gli abeti sempreverdi tagliati nel bosco e che finiscono di morire nel calore della nafta e le funivie che scaricano gli sciatori sulla neve inviolata”. Yourcenar prosegue ricordando che il Natale “È la festa dei poveri []. È la festa degli uomini di buona volontà []. È la festa di una razza troppo spesso disprezzata e perseguitata [] (il Bambino è ebreo). È la festa degli animali che partecipano al mistero sacro […]. È la festa della comunità umana, poiché è, ovvero lo sarà tra qualche giorno, la festa dei Tre Re di cui la leggenda vuole che uno sia un Nero, a simboleggiare così tutte le razze della terra []”.

Nel 2022, a quasi mezzo secolo dal pensiero espresso da Marguerite Yourcenar, il mondo è cambiato poco nonostante si sia del tutto trasformato e ora patisca la coda di una pandemia, una guerra appena oltre l’uscio di casa e altre sparse intorno senza dimenticare le lezioni che ci impone la natura violata. In buona sostanza non abbiamo imparato dai nostri errori e il presente è quanto mai fosco. Tuttavia c’è speranza, a ridosso della linea dell’orizzonte si intravede un’onda che monta: sulla sua cresta ci sono quelli che ci ostiniamo a chiamare diversi per sesso, stato, etnia e anche per la razza perché pure gli animali hanno da far valere i loro diritti. Tutti prima o poi vorranno riscuotere quanto è loro dovuto, lo sappiamo, ma al momento fingiamo che la cosa non ci riguardi, o comunque speriamo ci coinvolga solo di striscio. Viviamo in situazioni che ci illudiamo siano protette e così, impermeabili alle disgrazie altrui che confiniamo in un breve commento a margine delle nostre amene conversazioni, continuiamo a ingozzarci e a sproloquiare auguri e complimenti con una leggerezza che esclude perfino l’ipotesi di un magari fievole senso di colpa.

Se un tempo dicevamo che “Il Natale è la festa dei bambini”, ora neppure proviamo ad attribuirgli un qualsiasi senso, ci limitiamo “a fare acquisti” e, per carità, soprattutto in questi giorni vogliamo essere lasciati in pace. Magari talvolta ci comportiamo da stronzi con gli amici o sul lavoro, prevarichiamo con convinta arroganza chiunque sia più debole e subiamo senza combattere da chi sta sopra di noi, convinti che in fondo sia giusto così: la ruota gira. Vero, la ruota gira nel fango e lascia ovunque tracce di tristezza, dosi diverse di malinconia, solitudine, angoscia, ansia, anche rabbia e un nervoso che ci rode in fondo allo stomaco per cui non esiste medicina.

Comunque spargiamo intorno saluti e sorrisi beneauguranti.

Possiamo continuare a mentire a noi stessi? Non è forse ora di provare a cambiare almeno il piccolo pezzo di mondo che ci rappresenta? O preferiamo sprofondare nella cacca?
Che esistenze tristi da raccontare, tutte marroni!
A me piace scrivere solo storie a colori☺️

Buon Anno, sarà quello della svolta?

 

 

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