Sono trascorsi mesi da quando ho scritto qui, sul mio sito, l’ultima volta: il tempo è passato in un lampo. La mia lunga estate è stata densa di eventi, alcuni piacevoli, altri meno; nulla di drammatico, si è trattato soprattutto di noiosi contrattempi dovuti quasi sempre all’imbecillità dilagante che sta contagiando ogni livello della nostra società in cui nessuno, o quasi, sa più fare il mestiere per cui è pagato.
Il luogo in cui tutto, o quasi tutto, è accaduto, è l’adorata casetta di montagna, il buen retiro di famiglia che quest’anno io, il mio compagno, e Tina (la Ghostina, avete presente?) abbiamo raggiunto solo a metà giugno. Dunque siamo partiti con armi e bagagli e due computer cui io ho aggiunto la solita cartella gonfia delle carte relative al libro in corso di scrittura e parecchi altri tomi da leggere, per lavoro e no. Amo stare tra i bricchi, per me questi luoghi sono un balsamo per l’anima.
Quest’estate però la nostra permanenza è stata a tratti turbolenta, e con qualche disagio, tuttavia, ripensando a certe giornate tese, ora non posso fare a meno di sorridere, ridere, perfino sghignazzare soprattutto se scorro certe foto che… è meglio non mostrare.
La stagione è iniziata con un grosso problema tecnico di . Occorre fare una premessa: nel 2023 abbiamo provveduto ad allacciare gli scarichi di casa alla condotta fognaria pubblica; così facendo abbiamo assolto un obbligo normativo cui tutti devono ottemperare in tempi relativamente brevi dopo che il Comune provvede a portare il punto d’innesto alla fogna fino a casa tua. Nel nostro caso ciò era avvenuto solo di recente, siamo pur sempre tra i bricchi, a poco più di 1.000 metri di altitudine, in compagnia di mucche, cervi, volpi e cinghiali.
Che sarà mai l’allaccio alla fogna? Per prima cosa è un bagno di sangue, un investimento pesantissimo, almeno così è stato per noi. Infatti, mentre gli interventi in pianura sono relativamente semplici, quando devono essere realizzati su un terreno scosceso su cui i liquami sono costretti a fare l’arrampicata, come nel nostro caso, comportano un maggior livello di complessità. E maggiori oneri, come ho detto e ancora ci soffro: tanti soldi finiti in .
Dopo non poche ricerche, abbiamo assoldato un’impresa del luogo che, sulla carta, ci garantiva un ottimo lavoro con la formula chiavi in mano, ovvero a fronte di un investimento mostruoso da parte nostra, si sarebbe occupata sia delle scartoffie sia della parte pratica di tutti i lavori, compreso la messa in opera delle pompe in grado di spingere la cacca in salita, fino al piano stradale, e al raccordo con i tubi in cui si convoglierà la cacca dei pochi altri residenti del luogo, quando anche loro provvederanno all’allaccio dovuto.
La premessa, lunga e noiosa, era d’obbligo. Abbiamo iniziato a usare gli impianti nel nuovo assetto solo a giugno anche se i lavori erano stati conclusi a novembre (lo scorso Natale abbiamo tradito la montagna per un’altra meta). Come ricordo l’impresa ci ha lasciato l’impianto delle luci del giardino non più funzionante, danneggiato da loro durante gli scavi. Tralascio ulteriori commenti.
Questa estate, a pochi giorni dal nostro arrivo, abbiamo cominciato a notare che ogni volta che usavamo il bagno, intendo qualunque sanitario per le dovute necessità, questo ci parlava: tiravi lo sciacquone e rispondeva lo scarico del bidet con un risucchio rauco che, di volta in volta, aumentava d’intensità. A ogni doccia, le pietre che formano il marciapiede sul retro della casa trasudavano. Trasudavano cosa? Abbiamo iniziato a vigilare sull’uso degli impianti e, allo stesso tempo, a tenere una statistica mentre l’aria fina dei monti si venava di una nota impropria: stallatico, ma un po’ diverso da quello prodotto dalle torte omaggiate dalle mucche dei dintorni.
In breve il nostro monitoraggio si è arricchito di un dato definitivo, per così dire: a ogni uso del bagno parlante, la fontanella esterna del giardino si riempiva di un liquido color marrone, un fenomeno inquietante.
Il mondo è un posto duro anche per chi, come noi, almeno per ora gode del privilegio di non doversi preoccupare che un razzo, una bomba, un drone, cali dall’alto. Tuttavia questi tempi oscuri e dolorosi ci hanno cambiato, e ancora ci stanno cambiando: siamo preoccupati, ombrosi, incazzosi e forse, a tratti, un pochino depressi. Tanti riassumono questo stato di fatto dicendo che “siamo nella cacca”, ebbene noi lo siamo stati sul serio.
Inutile dire che l’impresa è dovuta intervenire per diagnosticare i motivi dell’attacco di diarrea del nostro impianto e poi porvi rimedio, questo è scontato. Meno scontate le cause che hanno prodotto il danno, in realtà surreali, verificate in modo inoppugnabile da un perito che abbiamo dovuto pagare per nostra tutela. Ma non è questo che mi preme sottolineare.
Quello cui voglio dare evidenza è la scortesia, meglio dire la scortese indecenza, con cui l’impresario si è comportato nei nostri confronti, come se fossimo noi i colpevoli del danno che l’azienda di cui lui è il titolare ci ha procurato.
È scontato che chiunque lavori possa commettere qualche sbaglio – e comunque c’è da tenere presente la gravità e la conseguenza di ogni errore -, ma non è ragionevole che l’autore dello sbaglio, invece di chiedere scusa, faccia l’offeso o, peggio ancora, la vittima. Questo è una regola sempre applicata fino a ieri, infatti adesso chi sbaglia non si scusa, anzi si trincera dietro lo scudo dell’arroganza e si finge, lui sì, una vittima, mettendo il sigillo sul proprio stato di ignorante. E perché non dovrebbe farlo l’incompetente di turno, se questo è il modus vivendi anche di chi ci rappresenta?
L’elemento più violento nella nostra società è l’ignoranza.
Emma Goldman