Scrivere la biografia di qualcuno ancora vivo è un po’ come curare la produzione di uno spettacolo teatrale. Il dramma rappresentato sul palco impallidisce di fronte a quello in atto dietro le quinte”. (Sam Williams, Codice libero, 2002)

Il racconto autobiografico, il memoir, sono forme di scrittura su cui si basa gran parte del mio lavoro di scrittore fantasma e appartengono al genere non fiction. Una persona si affida a me perché io traduca i fatti che compongono la storia della sua vita all’interno di una creazione letteraria in cui vuole riconoscersi. Tutto ciò va molto al di là del semplice ti racconto la mia storia e tu la scrivi, è più complicato. Occorre stabilire una relazione profonda affinché io possa farmi strada nei ricordi e nelle emozioni del mio narratore. Non è un percorso da affrontare a cuor leggero. Si smuovono sentimenti sopiti, emozioni, rimpianti, dolore e anche nostalgie intense per ciò che di bello è stato e non abbiamo più. Ci sono lacrime e risate, è faticoso, ma l’intensità dei momenti che trascorriamo insieme è una ricchezza per tutti e due. Come ho già detto altre volte, le vite degli altri diventano un po’ anche mie, in un modo speciale. Raccolta la storia devo curare l’impianto teatrale del testo partendo dal punto di vista del narratore, tenendo conto delle sue aspettative rispetto a ciò che scriviamo. Per tutti il risultato è liberatorio, permette di conoscersi meglio, per alcuni è una forma di riscatto. Una volta un narratore mi ha detto: “È stato come far saltare un tappo, adesso considero con più indulgenza certe scelte che ho fatto in passato. Scrivere il libro mi è servito per ripartire in modo diverso, più consapevole”. È un concetto che mi piace molto. Raccontiamo il passato guardando al futuro in modo positivo, come una somma di possibilità vaghe, una magnifica incertezza.

 

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