Abitare tempi grami, impastati di sangue e merda, ha cambiato alcune delle mie abitudini. Per esempio, fatico a scrivere l’ennesimo post per questo mio sito, e non per mancanza di ispirazione: gli argomenti su cui avviare una riflessione non mancano, ma non sono quelli giusti per queste pagine. Al momento, preferisco restare incollata alla storia che sto scrivendo come ghostwriter, in cui dipano il filo di ciò che ha vissuto il mio attuale narratore. Grazie a lui, vivo bene il processo di scrittura perché riesce a portarmi lontano, dentro e fuori di sé, capace com’è di liberarsi del passato per confrontarsi con se stesso senza alcuna reticenza, o vergogna. Non sempre, non con tutti i miei clienti, si sviluppa una simile, felice, alchimia, soprattutto in questo presente.
Purtroppo, oggi molto più di ieri, le motivazioni che spingono le persone a innamorarsi dell’idea di scrivere una storia, la loro storia, si fondano sulla voglia di mettersi in vetrina; è un criterio fasullo, quasi sempre adottato da potenziali narratori che spesso, almeno per me, si rivelano di scarso interesse: peccano di presunzione, difettano di onestà.
Ora è più difficile incontrare qualcuno disposto a condividere fino in fondo quel che magari tiene nascosto perfino a se stesso, mentre è comune che i più vogliano omettere, almeno in parte, il loro lato oscuro. Io sono allenata a un ascolto attivo e mi accorgo facilmente di certi salti, dei passaggi su cui chi racconta sorvola con falsa noncuranza, delle dimenticanze e dei silenzi che seguono ad alcune domande. Quando mi capita di avere a che fare con un narratore reticente, gli rammento ciò che comporta il mio lavoro di scrittrice; io metto insieme i pezzi della storia e la scrivo traducendola in forma romanzata: ho bisogno di conoscere ogni dettaglio della sua vita. Molte volte il mio interlocutore finge di soddisfare le mie richieste, mentre continua a svicolare; qualche volta le risposte arrivano più avanti, quando ho smesso di aspettarle, oppure non arrivano mai. Ognuno è libero di aprirsi quel tanto che vuole, e sente, avendo presente che la chiave di volta di una collaborazione riuscita tra chi racconta una storia e chi la scrive è la fiducia, un affidarsi reciproco senza riserve.
Invecchiando, sono diventata più esigente, e pure schizzinosa, nello scegliere le persone con cui avviare una collaborazione, tuttavia è pur vero che, in tempi migliori di questo sciagurato presente, la qualità delle proposte di scrittura che ricevevo era di un livello diverso dall’attuale.
A messaggi interessanti, qualche volta intriganti, e rigorosamente inviati via mail, seguiva un primo incontro online, su Skype; quando arrivava il jingle che annunciava la videochiamata, la maggior parte delle volte lo schermo si apriva su occhi in cui riconoscevo la curiosità della scoperta, la stessa che provava io. Quasi mai un incontro si rivelava una perdita di tempo, sempre e comunque avveniva uno scambio: io davo qualcosa e qualcosa ricevevo, indipendentemente dal fatto che si arrivasse alla firma di un contratto. Questa non è più la norma.
Inutile immalinconirsi, tutti siamo cambiari, e ancora cambieremo, ma confido che, non so dire quando, avremo di nuovo delle relazioni civili, aperte e umanamente soddisfacenti. Al momento è impossibile prevedere cosa stia per accadere in questo spazio-tempo in evoluzione: è tanto interessante quanto misterioso.
Intanto, dopo più di vent’anni di onorata carriera, Skype chiude bottega. Ecco un altro strumento, segno della modernità, o meglio, del progresso tecnologico, che noi boomer abbiamo imparato a usare e che ora va in pensione. Quelli della mia generazione ci si erano affezionati tanto che, ai primi utilizzi, ci compiacevamo ogni volta che l’avviso di chiamata rimbombava nella postazione di lavoro. Ricordo quasi con nostalgia le connessioni instabili in cui l’immagine si bloccava per poco, o per un po’, oppure toccava richiamare tenendo le dita incrociate. I primi anni, la qualità dei collegamenti era un terno al lotto soprattutto dentro i confini nazionali: collegarmi con il Vietnam, o gli Stati Uniti, era più semplice che raggiungere una sperduta località del Piemonte, o della Calabria.
Su Skype ho costruito una parte della mia carriera di ghostwriter, attraverso Skype ho vissuto avventure che voi umani… Di gran lunga meglio di una normale telefonata, Skype ha rappresentato il primo strumento di relazione, non solo voce, ma non ancora fisico, in grado di far sentire al sicuro il narratore – al caldo, o al fresco, nella sua casa/cuccia, secondo la stagione -, e mettere al riparo me da qualche imprevisto. E dio sa quanti sono stati gli incontri, e gli eventi, inaspettati che ho affrontato a causa del mio lavoro!
Ho incontrato un catalogo di umani strabiliante, qualcuno mi ha sconcertato, qualche altro mi ha fatto arrabbiare, molti esemplari fuori della norma mi hanno trasmesso emozioni e saperi oltre la mia portata. Ricordo tutti, con gratitudine. Ricorderò anche Skype.
Foto di sandeep darji da Pixabay