Un bonus lettura, un ‘buono spesa’ destinato ai giovani tra i 18 e i 25 anni, per l’acquisto di libri, giornali o abbonamenti a riviste e quotidiani, pagando solo il 25% del prezzo, mentre il 75% verrebbe pagato dallo Stato, fino a un contributo pubblico pari a 100 euro a testa. Questa l’interessante proposta fatta dalla Filiera della carta contro la crisi dei consumi. Considerando una percentuale del 50% di fruitori (su un totale di quasi 5 milioni di giovani tra 18 e 25 anni potenzialmente interessati), con il ‘bonus lettura’ si prevede, come spiegato da Alessandro Nova, dell’università Bocconi nella sua relazione all’incontro annuale della Filiera della carta, editoria, stampa e trasformazione, una domanda effettiva da 328,1 milioni per il settore, pari a un costo effettivo per lo Stato di 246,1 milioni. Inoltre la platea potenziale di 5 milioni di 18-25enni rappresenterebbe, sottolinea Nova, «un volano sicuramente efficace nell’imprimere un impulso importante allo sviluppo di un maggior livello culturale dei (potenziali) lettori». La proposta della Filiera è nata dalla presa d’atto che sono oltre 800 mila le persone che nel 2014 sono uscite del mercato della lettura di libri (dati Istat) mentre nel 2013 hanno smesso di leggere abitualmente un quotidiano 1,9 milioni di persone e un periodico 3,6 milioni di persone. In Italia oltre la metà della popolazione legge meno di un libro all’anno, Il bonus libri potrebbe favorire il consumo di prodotti culturali con indubbi benefici sia per chi vende sia per chi acquista.
Leggere su carta consente una lettura più “profonda” rispetto a quella che si ha attraverso gli e-book, un dato riconosciuto anche dai nativi digitali. Secondo un sondaggio condotto presso librerie e studenti dalla linguista Naomi S. Baron, della American University di Washington e durato diversi anni, leggere su carta è più piacevole, permette una maggiore memorizzazione, ma richiede più attenzione. Un’altra ricerca curata dal Washington Post dice che solo il 9 per cento degli studenti universitari americani si affida agli e-book. Dunque i libri di carta vincono nettamente. Un servizio pubblicato dallo stesso quotidiano conferma che un quarto degli studenti preferisce sborsare decine di dollari per libri di carta (nuovi o usati) che sono disponibili gratuitamente in versione digitale. L’ evoluzione del digitale resta ancora tutta da decifrare.
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Stefano Bartezzaghi, giornalista e scrittore italiano, ha scritto un articolo su Repubblica spiegando la grandezza e le conseguenze del tentativo di Mondadori di acquistare la divisione libri di RCS. Se Mondadori acquistasse RCS Libri – un gruppo che comprende Rizzoli, Fabbri, Sonzogno e molti altri nomi conosciuti di editori – con un’operazione del valore di 120 milioni di euro, arriverebbe a possedere quasi il 40 per cento del mercato: a fare da concorrenza rimarrebbero soltanto piccoli e medi gruppi, con limitate possibilità economiche. Inoltre bisognerà vedere come Mondadori gestirebbe identità editoriali completamente diverse, con storie, scelte editoriali e filosofie molto diverse tra loro. Quasi cinquant’anni fa le due rivali storiche del dolciario italiano Alemagna e Motta si ritrovarono riunite nella Sme: qualcuno parlò di «Alemotta». Il buon gusto letterario forse impedirà il conio di un marchio «Mondazzoli» ma certamente la notizia dell’offerta di acquisizione della Rizzoli (cioè, di Rcs libri) da parte della Mondadori è assai più rilevante di quella che impressionò gli appassionati del panettone. Se l’affare editoriale andrà in porto, nell’ansimante settore librario italiano si ergerà una specie di cattedrale che non temerà ombre, occupando quasi il 40 per cento del settore medesimo. Sotto la vastissima copertura di questo edificio colossale si ritroverebbe una quantità di marchi che sono trai più famigliari ai frequentatori delle librerie. Da parte Mondadori, oltre al marchio omonimo: Enaudi, Sperling & Kupfer, Harlequin, Piemme, Electa; da parte Rcs: Rizzoli, Bompiani, Adelphi, Marsilio, Sonzogno, Skira, Lizard, Sansoni, Fabbri. Il resto del mercato se lo spartirebbero il Gruppo Gems (Garzanti, Longanesi, Guanda, Salani, Bollati Boringhieri, Chiarelettere), Feltrinelli, un editore storico come Laterza e poi Sellerio e la galassia della piccola editoria, vivacissima culturalmente ma economicamente altrettanto debole.
Leggo su Babele che, secondo i giornali russi, il tour operator moscovita Megapolis Kurort offre “gite” guidate di quattro giorni in Ucraina per la modica cifra di 2-3.000 dollari e mette a disposizione dei turisti che vogliono provare il brivido della guerra, un mezzo blindato che può ospitare da cinque a sette persone oltre a delle guardie del corpo – http://www.babelemagazine.com/2015/02/18/to-russo-offre-tour-in-zone-di-guerra-in-ucraina/ -. È di tutta evidenza l’assurdità di una tale proposta e sconvolge ancora di più sapere che ci sono persone interessate ad aderire all’iniziativa. Sto lavorando alla stesura di un libro, un memoir, che verrà pubblicato il prossimo autunno, l’autore accreditato dell’opera è una donna che ha trascorso l’adolescenza nel contesto della guerra della ex Jugoslavia. Sono rimasta profondamente toccata dal racconto che mi ha fatto di quegli anni. Le vicende in cui è stata coinvolta hanno segnato la sua vita a tal punto che ha sentito la necessità di trasferirle in un libro per trasmetterle ad altri per dare conforto e speranza e indicare che un altro modo di vivere esiste. Lei oggi ha voltato pagina, non dimentica il passato e ha saputo costruirsi un presente positivo. C’è da chiedersi come possano esistere delle persone interessate a cercare emozioni e distrazioni nell’orrore della guerra e nelle sofferenze di altri.
Le librerie indipendenti insorgono contro la Legge Levi – DDL concorrenza. Il Consiglio dei Ministri discuterà il 20 febbraio un disegno di Legge sulla concorrenza che prevede diverse liberalizzazioni, tra cui quelle relative alla vendita di libri. L’intenzione di tutelare la libera concorrenza secondo condizioni di pari opportunità sul territorio nazionale, nonché di assicurare ai consumatori finali migliori condizioni di accessibilità all’acquisto e il miglior prezzo (queste le motivazioni generali del progetto di legge), avrà in questo caso un esito contrario alle intenzioni. Il mercato del libro in Italia ha bisogno di maggiori regole e maggiori investimenti che garantiscano la pluralità delle espressioni culturali, il contrasto delle posizioni dominati nei vari settori del mercato (produzione editoriale, distribuzione, commercializzazione) e la presenza di soggetti diversi piccoli e grandi che consentano ai consumatori di scegliere loro che cosa leggere e dove comprare e non il contrario: già oggi “non si legge ciò che si desidera, ciò che si pensa corrisponda ai propri gusti e alle proprie inclinazioni, ma ciò che viene imposto. Più efficace dei regimi totalitari, il mercato si impone soft e inesorabile” (Claudio Magris, Corriere della Sera del 23 gennaio 2015). Le librerie indipendenti di Milano si associano a quanti chiedono che la Legge Levi venga tolta dal DDL concorrenza, che si discuta del prezzo dei libri e di tutto il comparto dell’editoria considerando i progetti di legge già in discussione in Parlamento (proposta di Legge Giordano e altre) e coinvolgendo i soggetti oggi tenuti ai margini dei processi decisionali, formalmente legittimi ma sostanzialmente mancanti di una conoscenza reale dei problemi del comparto editoriale italiano.
Info: http://www.librerieindipendentimilano.net/
Qui di seguito trovate il testo di una petizione in favore di un uso più consapevole della lingua italiana. La petizione invita l’Accademia della Crusca a sostenere questa istanza, ma c’è bisogno dell’aiuto di tutti. La lingua italiana è la nostra lingua, un nostro bene comune.
Se condividete questo principio firmate su Change.org la petizione.
“La lingua italiana è la quarta più studiata al mondo. Oggi parole italiane portano con sé dappertutto la cucina, la musica, il design, la cultura e lo spirito del nostro paese. Invitano ad apprezzarlo, a conoscerlo meglio, a visitarlo. Le lingue cambiano e vivono anche di scambi con altre lingue. L’inglese ricalca molte parole italiane (manager viene dall’italiano maneggiare, discount da scontare) e ne usa molte così come sono, da studio a mortadella, da soprano a manifesto. La stessa cosa fa l’italiano: molte parole straniere, da computer a tram, da moquette a festival, da kitsch a strudel, non hanno corrispondenti altrettanto semplici, efficaci e diffusi. Privarci di queste parole per un malinteso desiderio di “purezza della lingua” non avrebbe molto senso. Ha invece senso che ci sforziamo di non sprecare il patrimonio di cultura, di storia, di bellezza, di idee e di parole che, nella nostra lingua, c’è già. Ovviamente, ciascuno è libero di usare tutte le parole di qualsiasi lingua come meglio crede, con l’unico limite del rispetto e della decenza. Tuttavia, e non per obbligo ma per consapevolezza, parlando italiano potremmo tutti cominciare a interrogarci sulle parole che usiamo. A maggior ragione potrebbe farlo chi ha ruoli pubblici e responsabilità più grandi. Molti (spesso oscuri) termini inglesi che oggi inutilmente ricorrono nei discorsi della politica e nei messaggi dell’amministrazione pubblica, negli articoli e nei servizi giornalistici, nella comunicazione delle imprese, hanno efficaci corrispondenti italiani. Perché non scegliere quelli? Perché, per esempio, dire form quando si può dire modulo, jobs act quando si può dire legge sul lavoro, market share quando si può dire quota di mercato? Perché dire fashion invece di moda, e show invece di spettacolo? Chiediamo all’Accademia della Crusca di farsi, forte del nostro sostegno, portavoce e autorevole testimone di questa istanza presso il governo, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese. E di farlo ricordando alcune ragioni per le quali scegliere termini italiani che esistono e sono in uso è una scelta virtuosa. Il seguito della petizione su Change.org, se siete d’accordo firmate su firmate su Change.org, parlatene, condividete in rete.
Nel 2014, oltre 23 milioni 750 mila persone di 6 anni e più dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista, per motivi non strettamente scolastici o professionali. Rispetto al 2013, la quota di lettori di libri è scesa dal 43% al 41,4%. La popolazione femminile mostra una maggiore propensione alla lettura già a partire dai 6 anni di età: complessivamente il 48% delle femmine e solo il 34,5% dei maschi hanno letto almeno un libro nel corso dell’anno. La quota di lettori è superiore al 50% della popolazione solo tra gli 11 ed i 19 anni mentre la fascia di età in cui si legge di più è quella tra gli 11 e i 14 anni (53,5%). La propensione alla lettura è fortemente condizionata dall’ambiente familiare: leggono libri il 66,9% dei ragazzi tra i 6 e i 14 anni con entrambi i genitori lettori, contro il 32,7% di quelli con genitori che non leggono libri. Nel Mezzogiorno la lettura continua ad essere molto meno diffusa rispetto al resto del Paese: meno di una persona su tre nel Sud e nelle Isole ha letto almeno un libro (la quota di lettori è rispettivamente il 29,4% e il 31,1% della popolazione). Si legge di più nei comuni centro dell’area metropolitana: la quota di lettori è al 50,8%, ma scende al 37,2% in quelli con meno di 2.000 abitanti. Quasi una famiglia su dieci (9,8%) non ha alcun libro in casa; il 63,5% ne ha al massimo 100. I “lettori forti”, cioè le persone che leggono in media almeno un libro al mese, sono il 14,3% dei lettori, una categoria sostanzialmente stabile nel tempo. La crisi della lettura è da attribuire soprattutto a una diminuzione dei “lettori deboli” (da 11,5 milioni del 2013 a 10,7 del 2014, pari a una variazione annua del-6,8%). Quasi un lettore su due (45%) dichiara di aver letto al massimo tre libri in un anno. Circa 5 milioni di persone di 6 anni e più hanno dichiarato di avere letto o scaricato libri online o e-book negli ultimi tre mesi: una quota pari all’8,7% della popolazione di 6 anni e più ed al 15,6% delle persone che hanno utilizzato Internet negli ultimi tre mesi. Il principale fattore che limita la diffusione dei libri in Italia è, per un editore su due (49,9%), la mancanza di un’efficace educazione alla lettura. Lieve segnale di ripresa della produzione editoriale nel 2013: aumentano del 6,3% i titoli pubblicati e del 2,5% le copie stampate. Il mercato digitale continua a crescere. Quasi un libro stampato su quattro (circa 15.000 titoli, pari a oltre il 24% della produzione totale del 2013) è diffuso anche in formato e-book. La versione digitale è ormai prevista per quasi la metà dei libri scolastici (49,6%). Le librerie indipendenti e gli store online sono considerati dalla maggioranza degli editori (rispettivamente il 41,3% e il 31,5%) i canali di distribuzione su cui puntare, per accrescere la domanda ed ampliare il pubblico dei lettori. Il settore dell’editoria per ragazzi mostra invece una netta ripresa (+18,6% il numero di titoli pubblicati rispetto al 2012) e +23,1% per l’editoria educativo-scolastica. Fonte Istat – Produzione e lettura di libri – 15_gen_2015 – Testo integrale